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In generale
Un criostato è un apparato che isola termicamente il sistema con cui è contattato dall’ambiente esterno a temperatura maggiore. Tale isolamento è reso possibile mettendo a contatto il sistema da raffreddare con un liquido avente una temperatura di ebollizione bassa – criogeno -, il cui calore latente è tale da mantenere costante la temperatura di ebollizione nel liquido, anche in presenza di ingressi termici da parte dell’ambiente, consumando parte del liquido stesso.
I criogeni più usati sono l’azoto e l’elio (con temperature di ebollizione rispettivamente di 77 K e 4.2 K, a pressione ambiente).
In particolare, il criostato di nostro interesse è detto ad evaporazione, poiché la quantità di criogeno che ammette, è tale che il processo di evaporazione ha una durata maggiore della durata dell’esperimento (ciclo), in modo da garantire le condizioni necessarie alla misura.
Le condizioni geometriche e spaziali del criostato sono dettate dalla necessità di ridurre al minimo gli ingressi termici, e dalla configurazione del sistema che raccoglie la radiazione (nel caso specifico l’esperimento MAD).
La parte fondamentale del criostato è costituita da due serbatoi, uno cilindrico di elio, posto immediatamente sotto la scatola delle ottiche e dei rilevatori, e una tank di azoto, toroidale, posto intorno al serbatoio di elio, per schermare la zona a 4.2 K.
Il serbatoio di elio è delimitato da schermi costituiti da fogli di mylar (un ulteriore freno all’ingresso di calore dall’ambiente esterno, o dalle zone “periferiche” del criostato), ed entrambi sono dotati di tubi in acciaio a parete sottile, utilizzati come discendenti per l’immissione e l’evaporazione del liquido.
La progettazione del criostato permette un ciclo utile di 7-8 giorni alla temperatura di 4 K, senza necessità di rifornimento di liquidi.
Il Refrigeratore
La temperatura finale del sistema refrigerante deve essere di 0.3 K. Tuttavia, la temperatura minima raggiungibile pompando su un bagno di 4He è di 1 K, dunque è necessario un sistema bistadio in cui si sfrutta l’evaporazione di 3He: pompando su quest’ultimo, si possono raggiungere temperature più basse di quella di ebollizione a pressione ambiente, arrivando fino a 0.28 K in corrispondenza di una tensione di vapor saturo pari a 10-3 mmHg. A causa della forte sensibilità dei rivelatori bolometrici criogenici verso i campi magnetici, è opportuno sviluppare un metodo di pompaggio che non utilizzi pompe meccaniche. Per questo motivo, si è costruito un sistema a circuito chiuso (in cui è da notare il fatto si annulla il consumo dell’3He, liquido molto costoso), autoconsistente.
Per rendere liquido l’3He, che ha una temperatura critica inferiore a quella del bagno di 4He, bisogna creare un riferimento di temperatura pompando su quest’ultimo.
Ognuno dei due stadi è dotato di una pompa ad assorbimento (criopompa), uno scambiatore di calore contattato col bagno di 4He, una cella di evaporazione (evaporatore), un interruttore termico per ciascuna criopompa, un interruttore termico comune per i due evaporatori.
La criopompa è un contenitore cilindrico d’acciaio riempito di carbone attivo e mantenuto ad una temperatura 5 K. I grani di carbone hanno un altissimo rapporto superficie/volume, in modo da catturare le molecole di gas e diminuirne la pressione (questo processo è detto adsorbimento). Aumentando la temperatura dei grani si avvia il processo inverso (desorbimento).
In questo modo siamo capaci di ottenere, per il bagno di 3He, una temperatura di circa 0.28 K.
Il Refrigeratore bistadio
Per semplicità di descrizione, indichiamo evaporatore e criopompa degli stadi ad 3He e 4He rispettivamente con EVA3, CRIO3, EVA4, CRIO4.
L’inizio del ciclo è caratterizzato da una temperatura dello scambiatore pari a 4.2 K (che è la temperatura dell’4He a pressione ambiente), l’interruttore termico dell’evaporatore chiuso e gli interruttori delle criopompe aperti.
Inizialmente, è necessario scaldare le criopompe, in modo da far desorbire il gas: l’4He si condensa nello scambiatore, il quale è contattato con il bagno a 4.2 K, e quindi fluisce nell’EVA4.
Ottenuto ciò, si può smettere di scaldare la CRIO4 connettendola invece allo scambiatore, interrompendo anche il contatto tra scambiatore ed EVA4. Questo darà inizio al pompaggio sull’4He, il cui risultato sarà una temperatura finale di 1 K.
Poiché EVA3 ed EVA4 sono contattati, questa temperatura permette all’3He di condensare nell’EVA3.
A questo punto, prima di cominciare a pompare sull’3He, bisogna aspettare che l’4He sia completamente adsorbito, poiché questo liquido, a temperature inferiori ai 2.2 K diventa superfluido, e potrebbe così risalire lungo il tubo di pompaggio, determinando un forte ingresso termico sull’EVA4. La fine del processo è indicata da un aumento della temperatura dell’evaporatore.
Verificato l’esaurimento dell’4He, si smette di scaldare la CRIO3 e la si connette allo scambiatore, in modo da accelerarne il raffreddamento. In questo modo l’3He viene pompato, raggiungendo la temperatura di equilibrio di 0.28 K. Tale temperatura si mantiene finchè tutto l’3He non è adsorbito.
Modifiche e Problematiche
Nonostante la moltitudine di accorgimenti presi, il criostato ancora non adempie alle sue funzioni in modo soddisfacente.
Il problema principale è che la temperatura di lavoro (0.28 K) una volta raggiunta, non si mantiene stabile nel tempo del ciclo (in realtà adesso il criostato funziona senza difetti).
Una delle modifiche apportate al disegno originale, è stata quella di sostituire gli interruttori termici meccanici con degli interruttori a gas, vista la loro migliore efficienza.
Inoltre, si è cercato di svolgere un lavoro di isolamento molto accurato, tenendo in considerazione la moltitudine di fili, contatti, e fonti di calore.
Al momento, il problema principale sembra derivare da un cattivo contatto dello scambiatore con il riferimento a 4.2 K della tank dell’4He, che alla temperatura di 3.6 K non conduce in maniera sufficiente e impedisce dunque un corretto svolgimento del ciclo. Una soluzione possibile potrebbe essere quella di aumentare i punti di contatto dello scambiatore (ora il problema è stato risolto tramite l’inserimento di trecce di rame).
Un’altra delle problematiche da tenere in considerazione è la calibrazione dei termometri del criostato, in particolare quello di Germanio dell’evaporatore: un difetto da questo punto di vista potrebbe portare varie difficoltà senza che vi sia un problema reale.
Infine, a causa del consumo di elio dovuto all’ingresso termico sul discendente (per il trasferimento del liquido), è stata calcolata l’altezza alla quale porre un contatto di rame in modo da diminuire tale ingresso.
Un grafico degli elementi utili per il calcolo appena menzionato, è il seguente:
LTOT = 69.4 cm LTOT G = 21.3 cm LS = 48.1 cm LTOT P = 2.2 cm FG 1.2
cm FP = 0.49 cm SG = 0.1 cm SP = 0.05 cm LTOT G LTOT
Ipotizzando che il gradiente di temperatura che si genera sul discendente sia lineare, tra 300 K e 4.2 K, ricaviamo LTOT P = 2.2 cm ad una temperatura di 119 K. Per stimare la riduzione dell’ingresso termico dovuta ad un contatto di rame posto in questo punto, calcoliamo l’ingresso nel caso in cui la boccoletta di rame sia inserita o meno.
I risultati ottenuti sono i seguenti:
WNO Boc = 4.54 mW
Wcon Boc = 2.25 mW
Risulta dunque che applicando la boccoletta di rame nel punto opportuno in pratica si dimezza l’ingresso termico.
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