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INTELLIGENZA EMOTIVA PER EDUCATORI
Rimanere a contatto con i propri sentimenti
Rimanere a contatto con il proprio mondo emozionale e utilizzarlo per interagire con la realtà in certe situazioni di vita dovrebbe essere una meta di salute mentale che sostiene uomini e donne durante tutto l’arco della vita.
Non è una dottrina nuova: in questa linea si pose il filosofo B. Pascal (1623-1662) quando sintetizzò una dottrina antichissima che espresse con la formula divenuta classica: “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”.
Testualmente scrisse:
“474. Tutto il nostro ragionamento si riduce a cedere al sentimento. Ma la fantasia è simile e contraria al sentimento, di modo che non si può distinguere tra questi contrari. L’uno dice che il mio sentimento è pura fantasia, l’atro che la sua fantasia è sentimento. Bisognerebbe avere una regola. La ragione si offre, ma è pieghevole in tutti i sensi; così non si ha nessuna regola.
475. Gli uomini scambiano spesso la loro immaginazione per il loro cuore e credono di essere convertiti dal momento che pensano di convertirsi…(…)
477. Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce; lo si constata in mille cose. Dico che il cuore ama l’essere universale e se stesso naturalmente, a seconda che si attacchi all’uno o all’altro; e si indurisce contro l’uno o contro l’altro, a sua scelta. Voi avete respinto l’uno e conservato l’altro: è forse per ragione che amate voi stessi?
479. Noi conosciamo la verità, non solamente con la ragione, ma anche con il cuore…(…) ed è su questa conoscenza del cuore e dell’istinto che la ragione deve fondarsi, e fondarvi ogni suo discorso…”[1]
Troppo spesso gli uomini di oggi, dimenticato l’insegnamento di Pascal, si affidano solo alla ragione, perdono il contatto con la dimensione emozionale e, nel tentativo di “ragionare” sopra ogni cosa diventano duri, insensibili, critici, difesi, incomprensivi delle necessità altrui. Di conseguenza si sentono incapaci di entrare in sintonia con i figli adolescenti. Le donne mantengono un contatto migliore con il proprio mondo emotivo, ma spesso non riescono a esprimerlo nell’ambito della relazione con gli uomini e rimangono in una così detta “incomunicabilità” che spesso è causa di rottura di matrimoni e di unilateralità di rapporti. La mancanza di educazione su questo settore impedisce la crescita corretta e fissa sopra oggetti inadeguati una quantità di energie che dovrebbero trovare invece, nella vita adulta, oggetti più specifici, più “umani”. Se la pedagogia curasse un poco di più l’educazione del cuore (o educazione sentimentale o la capacità di rimanere a contatto con le proprie emozioni) la cosa sarebbe molto diversa.
Le conseguenze di tale mancanza di educazione sono proprio quelle che andiamo visualizzando troppo spesso nella vita familiare o sociale: bambini che non imparano a leggere il proprio codice emotivo e rimangono “fissati” sui bisogni infantili, adolescenti che pretenderebbero di leggere la realtà secondo il codice emotivo interiorizzato nella relazione “arcaica” con la propria mamma, donne scontente perché non riescono ad esprimersi in modo adulto e uomini che si induriscono nel tentativo di rimanere “razionali” in ogni situazione, rimpiangendo però nel loro interiore il bel clima infantile nel quale erano compresi dalle proprie madri senza la fatica di esprimersi.
Molti uomini si aspetterebbero dalle mogli, durante i primi anni di matrimonio, le stesse manifestazioni affettive che ebbero dalle proprie madri e, di conseguenza sono sempre scontenti, si mettono in conflitto con i figli, bambini o adolescenti, e si aspetterebbero dalle moglie le stesse attenzioni; molte donne invece non riescono ad adattarsi al ruolo adulto (e materno) e rimpiangono una libertà che le pone in conflitto con il maschile.[2]
Solo una tempestiva e progressiva presa di coscienza che anche l’educazione del cuore deve essere curata nell’arco di tutta la crescita può contribuire, su scala sociale, al risanamento di tali situazioni nelle generazioni future.
2. Insegnare la condizione umana
Chi rimane a contatto con il proprio sentimento è senz’altro in grado di insegnare la “condizione umana” ai propri figli o ai propri allievi. Gli riesce spontaneo perché interagisce con il cuore e perciò conquista figli e allievi attraverso questa modalità di comunicazione che è la più naturale e la più gradita
Oggi si cerca di sottolineare anche sul piano pedagogico il recupero dell’educazione del cuore, accanto all’educazione della mente razionale.
“E’ incoraggiante constatare che anche un autore come Edgar Morin nel recente saggio I sette saperi necessari all’educazione del futuro (1999) parli di “insegnare la condizione umana” e tutta la sua complessità. I fattori che favoriscono la crescita mentale li possiamo dunque pensare come equivalenti alla capacità di riconoscere la condizione umana, ovvero come equivalenti alla forza di tollerare e rielaborare la sofferenza psichica data dalle possibilità di essere aiutati a contenerla. Per dirla in modo razionale-cognitivo, con Morin, ciò che favorisce una vera educazione è la consapevolezza…(…) che il pensiero, la scienza, le arti sono state irrigate dalle forze profonde dell’affettività, dai sogni, dalle angosce, dai desideri, dalla paura, dalle speranze Viceversa i fattori che ostacolano o inibiscono o si oppongono alla crescita sono identificabili nella negazione degli aspetti di sofferenza, nella negazione della limitatezza umana, e infine nelle forze distruttive della mente la cui mancata elaborazione e integrazione dà luogo…alla perdita di preziose attitudini e capacità intellettuali, di abilità linguistiche e a un impoverimento della vita sessuale e delle relazioni amorose…”[3] .
Spostare nell’educazione questa modalità prettamente “umana” di porsi nei confronti dei giovani è il grande insegnamento di Don Bosco, l’Educatore che scrisse “educazione è cosa di cuore”[4] ; è il nucleo del suo Sistema Preventivo che costituì un baluardo di protezione contro l’educazione basata su ragionamenti e castighi, usuali modalità educative dell’epoca.
E’ abbastanza facile, per chi è attento alle relazioni che esistono all’interno delle famiglie, delle scuole e nei posti di lavoro, cogliere le modalità di ragione e le modalità di cuore (per usare la bella espressione di Pascal) sulle quali ognuno costruisce la propria relazione. Voglio fare alcune osservazioni, anche a costo di “categorizzare”, attingendo alla mia esperienza di psicologo psicoterapeuta che da molti anni lavora con famiglie, allievi e insegnanti.
3. Unilateralità di crescita: i duri, i sentimentali, i bisognosi
Gran parte degli uomini (genitori o insegnanti) credono che affidarsi alla ragione anche nelle relazioni con i figli (o con gli allievi) sia meglio che affidarsi alla comprensione emozionale, cioè ascoltando il proprio cuore. Si sforzano di valutare con categorie “logiche” elementi emozionali che sfuggono di per sé alla logica della ragione, come la rabbia, la sfiducia, la sofferenza, la misericordia, e perfino l’amore…Il tentativo non riesce e non persuade perché le due dimensioni della realtà emozionale e dei fatti concreti sono alternative e si escludono. Sarebbe come voler misurare la febbre in centimetri o voler ascoltare con le orecchie le onde radio.
3.1. Uomini rigidi: i “duri”
Questa categoria di atteggiamenti è quasi esclusiva degli uomini. Anche donne però arrivano ad essere dure e incapaci di rimanere a contatto con la propria sfera emotiva. Queste persone sono sempre sicure di sé come avessero la verità in tasca, sanno sempre dare consigli e stimolazioni. Rimangono perplesse di fronte a situazioni che non riescono a valutare e dicono di non capire: certe cose che non capiscono sono “sbagliate”, certe richieste affettive sono “pretese”, certe attività che spingono dall’interno (come i desideri artistici, certi progetti per il futuro…) sono “fantasie inutili”, e certi bisogni di affetto o di appoggio sono “smancerie” ecc.
Chi non capisce tende a rimanere sulle posizioni interiori che ha costruito: non accetta informazioni diverse che possano mettere in crisi la propria conoscenza e i propri “principi”, non si confronta con nessuno. Si indurisce quasi sulla propria modalità e ne difende la “verità”. Non per nulla viene detto popolarmente “rigido”, cioè non duttile, non adattabile ad una comprensione diversa. Con i figli questi uomini/donne sono intransigenti e non accettano quel fluttuare affettivo che è tipico dei bambini e degli adolescenti: non “contrattano”con essi i loro desideri e le loro visuali perché sentono che distruggerebbero le proprie convinzioni interiori.
Non sanno che senza coinvolgersi in questi sentimenti non aiutano i figli a “valutare” la realtà esterna (magari i fatti di Novi Ligure!) e a utilizzare il secondo canale che è quello del cuore. Essi stessi non sanno valutare i fatti se non con la ragione emettendo giudizi drastici e intransigenti. I ragazzi sentono solo la durezza e la pretesa “logica” di genitori (o educatori) simili. Si chiudono in se stessi tentando di rimanere – finché lo sforzo regge - sui valori interiorizzati a livello infantile, che però non sono però sufficienti a valutare cose complesse. Quando non ne possono più respingono le informazioni in blocco “mimando” atteggiamenti di durezza presi magari da certi film, dove i protagonisti sono tutti “super” al di sopra delle leggi e della morale.
Questa spiegazione reggerebbe di fronte ad atteggiamenti espressi dai giornali con frasi come la seguente: “Ho ucciso io quella ragazza. Solo una frase poi il silenzio. ..Sa di rischiare l’ergastolo, ma non versa una lacrima”[6] .
3.2. I sentimentali labili
Altre volte genitori (e insegnanti) manifestano atteggiamenti opposti a quelli descritti sopra: sono spaventati di tutto, reagiscono con ansietà e insicurezza ad ogni situazione esterna, si barricano in posizioni difensive che hanno l’etichetta della paura o della diffidenza verso tutto e verso tutti. Queste persone (più le donne che gli uomini) sanno emetter solo giudizi emotivi e si coinvolgono in ogni situazione triste, identificandosi nei fatti dolorosi senza possibilità di distanziamento, come se quei fatti fossero personali. Ricordo una giovane signora che di fronte ai fatti di Cogne mi diceva in lacrime: “io non so che pensare: mi pare di impazzir dal dolore e sento che sarebbe meglio suicidarmi piuttosto che vivere, se avessi ammazzato il mio bambino. Spero che mia figlia (una ragazzina di otto anni) non sappia mai di questa cosa (il fatto riportato dai media) e che nessuno gliela dica. Soffrirebbe troppo!”.
Che giudizio emette una signora come questa su fatti complicati? Che amplificazione valutativa farà nello spirito della figlioletta?
A contatto con valutazioni puramente emotive-istintive i figli non riescono a inquadrare i fatti complessi e si sentono “contagiati” dalla sofferenza dei genitori (o degli insegnanti) della quale si difendono buttando via in blocco, ancora una volta, l’informazione. Allora recuperano i valori interiorizzati nell’infanzia, che però non sono sufficienti – come detto sopra – a valutare i fatti concreti e si comportano “da bambini” rifiutandosi di “sapere”. Quando lo sforzo non regge più, esposti evidentemente alle informazioni dei media, i ragazzi ricercano dai media stessi comportamenti “neutri” da utilizzare per distanziarsi e non soffrire: atteggiamenti di menefreghismo, di fatalismo, di superficialità, di compromesso morale ecc.
Anche in questi casi i figli rifiutano di entrare in comunicazione con i genitori (o con i professori) per rielaborare con essi i propri sentimenti. Sentono che non possono confrontarsi con la lamentosa espressione del giudizio emotivo che i genitori (insegnanti) esprimono perché aggiungerebbero alla loro sofferenza la propria insicurezza.
Anche i genitori (o gli insegnanti) troppo sentimentali non sanno emettere un giudizio: mancano della ragione per moderare il giudizio troppo emotivo del cuore.
Già oltre tre secoli fa l’insegnamento di Pascal era di utilizzare il duplice canale di conoscenza e valutazione della realtà: “Noi conosciamo la verità, non solamente con la ragione, ma anche con il cuore…(…) ed è su questa conoscenza del cuore e dell’istinto che la ragione deve fondarsi, e fondarvi ogni suo discorso…Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce; lo si constata in mille cose. Dico che il cuore ama l’essere universale e se stesso naturalmente, a seconda che si attacchi all’uno o all’altro; e si indurisce contro l’uno o contro l’altro, a sua scelta. Voi avete respinto l’uno e conservato l’altro…”[7] .
3.3. I bisognosi
Ancora peggio, rispetto alle due categorie descritte sono gli influssi e gli insegnamenti di coloro che definisco i “bisognosi”. In questa categoria ci sono indifferentemente uomini e donne: i tratti che li caratterizzano sono la fragilità di personalità, la unilateralità del loro giudizio, la drammaticità delle loro espressioni. Bambini e adolescenti a contatto con genitori (e insegnanti) del genere interiorizzano un codice emotivo sulla linea del bisogno personale di protezione, esasperato rispetto ai fatti esterni, del tipo: “tutto il mondo è “contro di noi”, “tutti sono incomprensivi nei nostri confronti”, “nessuno ci aiuta mai quando abbiamo bisogno” …. Frequenti sono le frasi come queste: “a me nessuno a ha mai dato niente”, “ho dovuto guadagnarmi tutto a caro prezzo”, “ognuno nel mondo pensa a se stesso e a me degli altri non me ne frega proprio più niente”, “ognuno fa come può e rimane sempre fregato lo stesso ”, “cosa vuoi che dica? Io la sbaglio sempre e ho sempre torto” ecc. ecc.
Personalità che sentono le cose in questo modo sono incomplete. Rimaste insoddisfatte nelle relazioni arcaiche, e non credono alla bontà della gente. Sono dei potenziali egoisti (proprio come sono i bambini) e dei potenziali depressi che si aspettano da tutti le cure materne che non hanno avuto nella prima infanzia
Che giudizio valutativo di fatti complessi possono dare ai propri figli (o ai propri allievi) personalità simili? I ragazzi adolescenti si scontrano con i bisogni ottusi espressi nella modalità drammatica dei loro genitori (insegnanti) e non osano iniziare a rielaborare con essi i propri sentimenti. Se hanno interiorizzato bisogni analoghi a quelli dei propri genitori rimangono addirittura “sotto la gamma d’onda” degli avvenimenti esterni e non percepiscono come “veri” i fatti che dovrebbero valutare in qualche modo per potersene distanziare. In questi casi la conoscenza stessa viene inibita dai bisogni personali.[8]
Le categorie che ho cercato di descrivere evidenziano anche nel mondo degli adulti panorami di fragilità e di radicalità che offrono agli adolescenti modelli poco accettabili e spesso distolgono gli adulti stessi dalla comprensione delle gravi difficoltà identificative in cui si vengono a trovare gli adolescenti.
Un’analisi approfondita dovrebbe indagare come questi individui sono in grado di valutare i valori affettivi: come hanno imparato il codice emotivo nel corso della loro infanzia, come hanno aggiornato questo codice nel corso degli anni successivi fino a raggiungere lo stato di personalità attuale, come “sentono” o sanno “leggere” i fatti alla luce dei loro valori e alla luce dei valori sociali (che forse non conoscono ancora).
Molti adolescenti, nonostante i 18 anni giuridici della maggiore età, sono rimasti sulla soglia dell’incapacità di distinguere chiaramente tra mondo interno e mondo esterno per cui non riescono a distinguere chiaramente tra sentire interiore fatto di fantasia e di associazioni (che riportano alle esperienze arcaiche), e realtà esterna caratterizzata da situazioni “oggettive”.
Sulle situazioni oggettive esterne al soggetto è possibile intervenire solo dopo aver emesso una valutazione dei fatti, dopo una presa di posizione…
Spesso emerge dalle indagini psicologiche che l’adolescente (e il giovane uomo) vive in una specie di mondo senza precisi confini, configurato sui suoi bisogni e sconfinante con le sue fantasie: da una parte vi è certamente lui/lei con la sua realtà fisica, legato alla sua famiglia con legami infantili, dall’altra c’è una immagine confusa di sé nel presente e nel futuro (scuola, lavoro, modelli presentati dai media, pulsioni profonde verso la crescita ecc.) non sufficiente a sostenere l’identità del momento attuale.
I fragili confini tra interno ed esterno si spostano continuamente tra reale e fantastico fino a diventare “virtuali” per cui il giudizio di valutazione dei fatti veri appare all’adolescente pirandelliano “così è se vi pare”!
Per una comprensione diagnostica di queste condizioni soggettive, vista in relazione a fatti gravi che vedono come protagonisti ragazzi adolescenti (o giovani uomini/donne) bisogna dunque indagare adeguatamente alcune dinamiche importanti, tra le quali:
La storia relazionale dei primi anni di vita, che permette di valutare in qualche modo le modalità della crescita emotiva, mediante la quale ognuno ha interiorizzato un proprio codice emotivo iniziale, punto di partenza dei sentimenti relativi a fatti esterni al soggetto; e i contenuti interiori che da essi sono nati, e che sono necessari alla distinzione soggettiva tra mondo “interno” ed “esterno”.
La struttura di personalità in base alla quale è possibile una valutazione almeno grossolana dei confini esistenti tra le posizioni di “interno” ed “esterno”.
La maturazione cognitiva che ognuno ha raggiunto nel momento evolutivo in cui si trova. La maturazione cognitiva è la capacità di ragionamento che sostiene la e indirizza la motivazione verso la presa di posizione
Solo dopo adeguata indagine psicologica è possibile rendersi conto del come l’adolescente si è rapportato verso fatti o azioni che lo vedono protagonista. Anche in sede di tribunale non è possibile emettere giudizi di colpevolezza o di assoluzione senza aver ricostruito le coordinate della personalità: la maturazione raggiunta in quel momento di crescita, la struttura globale della personalità e i parametri psicologici che spiegano la motivazione, la capacità di ragionare e di coinvolgersi con l’esterno.
4. Una verità di difficile ricostruzione
L’uso di sostanze che alterano in qualche modo la coscienza - strumentali spesso a bisogni di inserimento o a fantasie di onnipotenza -, rende ancora più fragili i confini tra “interno” ed “esterno”, annullando la distinzione tra contenuti puramente interiori, creati per effetto di fantasia alterata, e contenuti reali che avvengono all’esterno con o senza partecipazione attiva del soggetto.
Questa condizione fa vivere il giovane in un “mondo virtuale”, in continua trasformazione, nel quale egli è contemporaneamente attore e spettatore, sempre in “viaggio”, come appunto viene detto l’uso di droghe da vari autori nelle relazioni che la descrivono, anche in modo romanzato[9] .
Cogliere la verità oggettiva dei fatti e la intenzionalità del soggetto rimane speso impossibile.
Quando sono accaduti avvenimenti gravi e delittuosi che hanno ragazzi come protagonisti, le sottili e complicate posizioni degli interrogatori, delle istruttorie e dei processi disturbano ulteriormente la valutazione dei fatti realmente accaduti e delle responsabilità personale. Spesso gli adolescenti incriminati, che magari hanno confessato ai carabinieri o alla polizia i propri delitti subito dopo i fatti, vengono guidati dagli avvocati difensori a “cambiare” la verità, ritrattando o tacendo.
La perizia psichiatrica richiesta dai tribunali (o la controperizia di parte sollecitata dai difensori) dovrebbe ricostruire per i giudici l’iter di crescita e la capacità di giudizio del soggetto. Spesso però gli psichiatri non sono all’altezza del loro compito, o sono di formazione puramente biologico-meccaniscistica per cui la parte dinamica-relazionale viene snobbata, e la parte motivazionale non viene indagata. Spesso gli avvocati stessi sono “bravi” e rivestono di menzogne gli eventi oggetto di indagine, distaccandosi notevolmente dall’oggettività fatti realmente accaduti, .perché ritengono “vero”solo quello che riescono a dimostrare vero.
L’interessato allora si domanda con angoscia e con cinismo (comunque secondo le modalità difensive che gli sono suggerite) se veramente lui/lei è colpevole, se veramente è stato lui/lei a operare, se veramente lui/lei è come gli altri o se è diverso, se è una specie di mostro o di super man ecc.
5. L’adolescente “alienato” che utilizza solo il registro del proprio bisogno
Molti giovani di oggi che pure hanno raggiunto una consistente età cronologica (che va tra i venti anni e i trenta) sono rimasti “sottosviluppati” emozionalmente, non sanno leggere il proprio codice emotivo, non hanno interiorizzato capacità di “giudizio” di fronte a fatti complessi che esigerebbero capacità di analisi, criteri di riferimento a valori morali interiorizzati, e sanno utilizzare solo strumenti cognitivi molto poveri. Rimangono come “fissati” su capacità di lettura assai povera, molto vicina a quella dell’infanzia con la possibilità di cogliere in sé pochissimi sentimenti: “alienati” quindi a leggere una realtà complessa.[10]
Sono certamente fragili nel giudizio, ma quasi “assetati” di conoscere un’opinione autorevole: sono dunque facilmente manipolabili da opinionisti che esprimono in modo sicuro le proprie visuali (morali, politiche, religiose e magari anche psicologiche), magari sotto forma di spettacolo o di dibattito televisivo guidato. Per questa ragione – credo - sono aumentate in questi anni le trasmissioni-spettacolo che riguardano avvenimenti complessi e drammatici (processi contrastati, delitti efferati, episodi di guerra, liti familiari…): attraggono l’attenzione popolare, polarizzano emozioni forti verso fatti gravi e fanno leva sulla necessità di emettere un “giudizio”.
Solo l’educazione ai valori può aiutare i giovani a superare la grande divergenza tra la realtà complessa che richiede capacità di giudizio, e la povertà di comprensione cognitiva, che utilizza una “lettura” dei fatti operata con strumenti inadeguati.
Sono tanti i ragazzi che non sanno leggere le proprie emozioni per cui non “capiscono” avvenimenti drammatici come quelli sopra descritti: eterni adolescenti (o giovani) che non hanno mai imparato a collegare i concetti ai loro sentimenti, che non hanno creato mai i raccordi cognitivi per poter esprimere se stessi, che, in altre parole, non possono contare su di un codice emotivo sufficiente a leggere la realtà in termini oggettivi.
Questa frequente forma di “povertà” (o di sottosviluppo) genera spesso conflitti interiori difficili a modificarsi perché composta di una valenza cognitiva e di una valenza emotiva in contrasto tra di loro, o tra di loro completamente autonome, come se l’individuo rimanesse esposto a due dinamiche inconciliabili che si potrebbero verbalizzare con lo slogan: “non capisco le cose su cui dovrei emettere un giudizio”, o meglio “devo giudicare una cosa che non ho capito”.
Moltissimi giovani iniziano a vivere in questo conflitto, accanto a mamme frettolose e distratte, fin dai primi anni di vita; in adolescenza “fissano” alcune modalità per gestire in qualche modo le informazioni contingenti che provengono dall’esterno, ma queste modalità sono quasi sempre inadeguato rispetto alla posizione adulta e tirano avanti vivendo in una specie di limbo cognitivo, dove le emozioni e i sentimenti interiori agiscono in modo autonomo rispetto ai concetti che li dovrebbero interpretare, strumentalizzate dai propri bisogni interiori Vivono una vita cronologicamente adulta, ferma su posizioni infantiloidi.
Per cambiare stile dovrebbero rifare il processo di passaggio dall’emozione al giudizio, quel processo che abilita il bambino a discriminare e generalizzare sopra fatti esterni a lui; ma la scuola – preoccupata di programmi e apprendimenti – li aiuta ben poco in questo recupero di abilità. Non possono, di conseguenza, sentirsi capaci di prendere posizione di fronte a fatti che non coinvolgono direttamente i loro bisogni profondi, gravi o banali che siano. Per valutare i fatti che in qualche modo li toccano utilizzano le modalità di comprensione che ognuno ha sviluppato nel corso della propria crescita. Di solito modalità di valutazione incompleta e difensiva come: negazione di responsabilità, distanziamento, chiusura in se stessi, lamentele e depressioni, proiezioni grossolane ecc. Usano cioè, in altre parole, tutti quei comportamenti che si leggono sui giornali come reazioni di adolescenti e giovani in occasione di avvenimenti gravi o delittuosi.
6. Un poco di teoria per comprendere meglio
Il modello teorico di questo meccanismo ci è dato dagli studi sullo sviluppo cognitivo che partono dalla patologia dei bambini autistici, intendendo autismo proprio nel senso inteso da E. Bleuler in riferimento a “individui interamente assorbiti dalle proprie esperienze interiori con conseguente perdita di ogni interesse per la realtà esterna, le cose e gli altri”[11] .
“Lavorando con questi (bambini autistici) abbiamo riscontrato che alla base dell’intelligenza c’è il collegamento fra un sentimento o un desiderio e un’azione o un simbolo. Quando un gesto o un’espressione verbale si riferisce in qualche modo ai suoi sentimenti o desideri…il bambino impara ad usarlo in maniera appropriata ed efficace. Finché non stabilisce il collegamento, però, il suo comportamento e la sua comunicazione rimangono problematici. Alla base del disturbo c’è proprio la difficoltà a stabilire collegamenti…(…). Quanto appreso dal lavoro sui bambini autistici ci ha aperto una nuova possibilità di capire l’evoluzione dell’intelligenza…” [12]
E’ interessante chiederci come avvenga la conoscenza della realtà esterna agli inizi della vita di un essere umano.
6.1. La lettura “emotiva” della realtà esterna
La risposta a questo basilare interrogativo esigerebbe uno studio completo di psicologia evolutiva, per il quale rimando al bellissimo volume del prof. Greenspan, una delle massime autorità in campo evolutivo oggi.
Anche lui si chiede in modo retorico:
“Come può una manciata di emozioni organizzare una massa di informazioni vasta come quella racchiusa nel cervello umano? Per affinare le nostre scelte , moduliamo le emozioni in maniera da registrare lievi variazioni e combinazioni di tristezza, gioia, curiosità, rabbia, paura, gelosia, speranza e rimpianto. Possediamo un metro straordinariamente sensibile con ci misurare le nostre reazioni; anzi, in un certo senso, è come se fosse questo metro a possederci. Prestando attenzione allo stato soggettivo del proprio corpo si può percepire una tonalità emotiva, per quanto sfuggente e difficile da descrivere. Ci si può sentire tesi o rilassati,, fiduciosi o scoraggiati, sereni o giù di morale. La tonalità emotiva interiore si riconfigura costantemente in innumerevoli variazioni che servono a etichettare, organizzare, archiviare, recuperare e, soprattutto, a dare senso alla esperienza. In questa operazione è coinvolto tutto il corpo…”[13]
Sintetizzando dai lavori di questo autore presento alcune affermazioni che hanno base scientifica e sono accettate oggi dagli studiosi, per poter fare poi alcune applicazioni al mondo degli adolescenti.
All’inizio della vita ci sono solo i sentimenti tra madre bambino, nessun concetto adeguato a valutare gli stessi sentimenti. L’unico criterio per il quale i sentimenti vengono fermati o raccolti (immagazzinati) è il criterio di gratificazione: mi piace, non mi piace. Da questa prima impressione inizia a formarsi la struttura interiore del cervello interpretativo della realtà esterna.
Il bambino impara ben presto a collegare ai sentimenti di tonalità gradevole gli avvenimenti esterni che li generano; questo è per lui in quel momento la rappresentazione del mondo esterno a lui. L’esterno “esiste” ed è “buono” o “cattivo” in modo proporzionato alla gratificazione che il bambino collega ai sentimenti con i quali viene interagito dalla madre (e poi dalle altre figure familiari).
Solo in seguito il mondo esterno viene “costruito” partendo da queste prime emozioni, “codificate”come sentimenti accettabili, se non proprio piacevoli. “La chiave dell’enigma sta nel fatto che è l’emozione a organizzare esperienza e comportamento”[14] .
Solo molto più tardi, quando cioè i collegamenti tra emozioni e azioni che li generano sono stati fatti, inizia il “giudizio cognitivo” su di essi, quando il bambino è in grado di utilizzare i simboli della realtà interiorizzato.
Allora il bambino è capace di capire il contesto in cui un’azione avviene, riesce a organizzare le energie proprie per una risposta pertinente, si adegua al contesto esterno a lui.
“Il bambino per tanto discrimina non tanto memorizzando esempi o regole consce o inconsce, quanto portando con sé da una situazione all’altra il proprio bagaglio di stimoli emozionali. Quando questo metro di discriminazione composto da stimoli emozionali passati viene applicato a circostanze nuove che riproducono un sentimento familiare, il bambino tende ad applicare il comportamento pertinente. Senza tale strumento di grane precisione diventa difficile reagire in maniera appropriataGli affetti che ci portiamo appresso da una situazione all’altra ci dicono che cosa pensare, dire e fare, inserendo ciascun evento nel contesto emotivo e globale della nostra vita. Così siamo in grado di comprendere… e di discriminare…”[15] .
6.2. La prima struttura cognitiva
La strada per cui un avvenimento viene percepito come un “fatto esterno” non è dunque cognitiva, come molti pensano, ma emozionale: un fatto esterno viene prima sentito (percepito con i sensi), poi valutato emozionalmente se gradito o non gradito (comparato con la catena di esperienze precedenti), poi rielaborato, cioè agganciato alla catena di concetti (codificato in simboli utilizzabili), poi finalmente “giudicato”[16] .
Ognuno intuisce quanto sia importante per la costruzione dell’Io questa prima struttura emotiva. Importante ai fini di percepire il mondo esterno secondo modalità “oggettive” (che trascendono i confini personali): valutare avvenimenti che dalle emozioni vengono presentati con colorito (soggettivo) accettabile, rimanere quindi a contatto con il mondo esterno interiorizzato mediante queste emozioni, utilizzare questi contenuti come linguaggio di scambio con gli altri.
Quando dico “oggettivo” intendo una modalità di conoscenza che ha che fare con il fatto “esterno” che avviene indipendentemente da chi lo percepisce.
Interessante è la conclusione pratica: un fatto esterno mantiene il colorito delle modalità emozionali con cui viene interiorizzato: “noi categorizziamo idee e informazioni secondo le caratteristiche fisiche registrate dai nostri sensi”[17] .
Purtroppo l’apprendimento di avvenimenti o di nozioni (anche l’apprendimento scolastico) inizia sempre con la capacità di rielaborare le emozioni che già si sono sedimentate nella personalità e utilizza la capacità di regolare i sentimenti spesso troppo coloriti di bisogni personali.
“Ciononostante, abbiamo la possibilità di codificare, immagazzinare, organizzare e recuperare efficacemente grandi quantità di informazioni in virtù del significato emotivo che hanno per noi, nonché di analizzare razionalmente tale significato per dare un senso alla nostra vita.” [18]
7. L’educazione emotiva come rimedio integrativo
L’educazione che si fissa prevalentemente sul livello cognitivo, come è di prassi nelle scuole, è sempre un’educazione parziale perché trascura il fatto che. il livello cognitivo poggia pesantemente sul livello emozionale (proprio in senso epigenetico).
Sarebbe dunque necessario che ad ogni età le figure adulte di riferimento si interessassero seriamente del livello emotivo, predisponendo interventi educativi specifici, analogamente a quanto avviene nella scuola per l’educazione del livello cognitivo.
Se queste analisi estremamente attuali sono vere non rimane che una strada da seguire nell’educazione emotiva dei bambini e dei ragazzi: curare in modo mirato la relazione tra adulti significativi e giovani in evoluzione. in modo da sollecitare le espressioni personali di sentimenti allo scopo di moderare quelli troppo intensi, allargare quelli limitati solo ai bisogni del momento, risanare quelli che sono troppo impregnati di dolore, ansietà, radicalità ecc.
La relazione arcaica tra madre e bambino è basilare, ma altrettanto importante dovrebbe essere in seguito la relazione educativa che raccoglie e ordina l’espressione dei sentimenti, che sa “ascoltare” in ogni momento della crescita - fino e oltre l’adolescenza - la rielaborazione fantastica dei contenuti interiori.
“Sebbene le questioni che si affrontano negli anni successivi siano diverse da quelle dei primi ani di vita, legami e rapporti emotivi rimangono al cuore dello sviluppo mentale…(…) C’è il rischio che…il bambino venga sopraffatto da tutte le possibilità e perda il contatto con la realtà, oppure che restringa troppo la gamma della curiosità e creatività diventando troppo rigido e focalizzato; ma può anche trovare un equilibrio che gli consenta di essere curioso e creativo, di vedere le cose da più di un punto di vista e di capire il contesto, di sviluppare la responsabilità e il giusto grado di prudenza che gli dia il senso di sicurezza necessario per affrontare le avventure future…(…) Tra i dieci e i dodici anni molti bambini cominciano a sviluppare un’immagine di sé interiore che riflette i loro bisogni, desideri aspirazioni e valori e non soltanto le reazioni dell’altro. Grazie alle sempre maggiori capacità cognitive, inoltre, iniziano a rispondere più alla coscienza e meno alla paura di essere puniti…(…) il mondo di chi entra nell’adolescenza continua ad espandersi fino a comprendere una comunità allargata al di là del gruppo dei coetanei. Gli adolescenti affrontano situazioni complesse come la diversità dei valori dei coetanei e dei genitori e al tempo stesso concepiscono interessi più vasti, per esempio per la politica, le questioni morali e religiose, i movimenti sociali e simili…Vista la massiccia opera di demolizione e ricostruzione che avviene nell’adolescenza, solo fondamenta robuste permettono di mantenere un equilibrato senso di sé. Se il gran numero di ponti realizzati in questo stadio è costruito su basi instabili, il ragazzo non riesce ad affrontare le sensazioni intense che si presentano: sessualità, perdita dell’infanzia, nuove forme di umiliazione …”.[19]
Senza interessamento e cura specifici il codice emotivo non viene “aggiornato” in ogni momento della crescita e “sistemato”in adolescenza fino a sostenere l’analisi e la valutazione di avvenimenti personali o sociali complessi o anche gravi.
Chi deve prendersi cura di questo aspetto educativo volto alla formazione di un codice emotivo efficiente e regolare il filtraggio tra mondo interno e mondo esterno?
Certo nell’infanzia di estrema importanza è la figura femminile (che in qualche modo lo fa sempre, ma per quanto ne è capace); negli anni successivi però, quando vengono in primo piano le figure sostitutive nella scuola materna, elementare e media, questo processo spesso si blocca e si irrigidisce per mancanza di sollecitazioni.
Fontana Umberto, psicologo e vicedirettore Cepof - Verona
PASCAL B., Pensieri, Rusconi, MI, 1993, p. 263-264.
Per un’informazione più completa su questi temi rimando a: STERNBERG R.J., La freccia di Cupido, come cambia l’amore, teorie psicologiche, Erickson, TN, 1999
BLANDINO G., GRANIERI B., Le Risorse emotive nella scuola…ecc. oc., p. 45.
BOSCO G., Dei Castighi da infliggersi nelle case salesiane, in: BRAIDO P., Scritti sul sistema preventivo nell’educazione della gioventù, La Scuola editrice, BS, 1965, p. 316.
Per un inserimento attuale nel Sistema Preventivo di Don Bosco rimando al mio recente studio: FONTANA U., Relazione segreto di ogni educazione, ELLEDICI, TO, 2000.
Riferita a Giovanni Gambino diciannovenne accusato di aver
ammazzato Teresa Lanfranconi sedicenne a Mariano Comense. Dal Corriere della
Sera, domenica
Al limite queste dinamiche sono quelle caratterizzate da estrema unilateralità o chiusura che nella patologia psichiatrica vengono chiamate sindromi gravi: Autismo, Schizofrenie, Ritardi mentali gravi, Disturbi dell’affettività e necessitano un trattamento particolare e poi una psicoterapia
Per la conoscenza specifica di queste sindromi rimando alle seguenti pubblicazioni:
- DMS-III e IV, Masson, MI, 1983 (1994 ed
edizioni seguenti). Una edizione “popolare” di questo manuale venne pubblicata
nel
FRANCES A., FIRST M.B., Il libro della salute mentale, per riconoscere i disturbi della psiche (guida al DSM-IV), Pratiche P editrice, MI, 1999.
-: HOUSE A.E., La diagnosi psicologica nella scuola secondo il DMS-IV, Erickson, TN, 1999.
Cito tra i tanti un romanzo tremendamente autobiografico: CHRISTIANE F., Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, Super Poket, MI, 1999 (orig. tedesco 1980)
Un esempio recente mi viene offerto dalla coordinatrice del Servizio di Orientamento in seno all’Istituto S. Zeno di Verona. Una decina di ragazzi attorno ai venti anni tutti maschi (per un corso FSE), richiesti di specificare quali emozioni provassero di preferenza - elencate sopra un questionario che testava 34 emozioni comuni - ne riconoscevano in sé praticamente solo poche: in senso negativo ansia, preoccupazione, rabbia, noia, confusione; in senso positivo: interesse,calma, curiosità, tranquillità, soddisfazione. Il loro codice emotivo era evidentemente povero e minimale.
GALIMBERTI U., Dizionario di psicologia…oc, voce autismo, p. 117.
GREENSPAN S. I., L’intelligenza del cuore, le emozioni e lo sviluppo dell’intelligenza, Mondatori, MI, 1997.
GREENSPAN S.I., Intelligenza del cuore ecc. oc, p. 23.
Il prof. Greenpspan S.I., lo studioso al quale mi sono appoggiato, descrive in base alle ricerche sopra un grande numero di neonati seguiti nella loro crescita, sei livelli di maturazione emotiva. Per comodità del lettore ne presento almeno i nomi, rimandando al libro già spesso citato per la conoscenza specifica (cap:2-5):
- I Livello: dare un senso alle emozioni;
- II Livello: intimità e relazioni;
- III Livello: primi germi della intenzionalità (preverbale);
- IV Livello: scopo e interazione (nascita del Sé preverbale);
- V Livello: Immagini, idee, simbli;
- VI Livello: il pensiero emotivo:
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