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DALLA PACE DI VILLAFRANCA ALLA SPEDIZIONE DEI MILLE

Storia



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DALLA PACE DI VILLAFRANCA ALLA SPEDIZIONE DEI MILLE

Sulle cause che indussero Napoleone III a rompere l'impegno di continuare la guerra fino alla totale espul­sione degli Austriaci dall'Italia, e a concertare con Francesco Giuseppe l'armistizio e un nuovo assetto della pe­nisola a base federale, molto si È discusso e si discuterÀ. Gli storici che si ostinano a vedere la politica napoleo­nica in Italia prevalentemente, se non esclusivamente, animata da impulsi cavaliereschi e sentimentali, quale il desiderio di aiutare gli oppressi, la simpatia per la causa italiana, il risveglio degli entusiasmi carbonari del 1830-1831, trovano e indicano le ragioni fondamentali del bru­sco gesto napoleonico nell'impressione suscitata in lui dai sacrifici di sangue che la guerra imponeva, nelle preoc­cupazioni per le condizioni militari e sanitarie dell'eser­cito, nel delinearsi della minaccia prussiana sul Reno, nel­l'atteggiamento ostile di gran parte dell'opinione pub­blica francese e della stessa imperatrice. Ma (fa rilevare Pietro Silva, illustre storico, nel « Mediterraneo, dall'Uni­tÀ di Roma antica fino ai tempi moderni » ) chi tiene pre­sente gli accordi di PlombiÈres e le finalitÀ per le quali Napoleone III era sceso in Italia, e ricorda che l'Impe­ratore era un finissimo politico mirante soprattutto al-



l'interesse della Francia, chi tiene presente e ricorda tutto questo, deve riconoscere che la pace di Villafranca ebbe luogo per il desiderio di Napoleone III di arrestare il movimento unitario nell'Italia centrale, troncando la guer­ra e concordando con l'Austria un nuovo assetto della penisola. CiÃ’ perché il movimento unitario, con lo svi­luppo giÀ assunto e con l'ulteriore sviluppo che giÀ si delineava verso le Marche, l'Umbria e il Sud, riusciva doppiamente lesivo ai piani della politica napoleonica. Anzitutto minava alle fondamenta il progetto concertato a PlombiÈres di una sistemazione federalistica della peni­sola sotto il patronato francese, e preparava uno Stato troppo forte per potere a lungo tollerare tale patronato. In secondo luogo, con l'attacco ai possessi papali, il mo­vimento suscitava il malcontento sempre piÙ forte del partito clericale francese, che costituiva uno dei pilasti dell'edificio imperiale.

Si tenga presente il testo dei preliminari della pace fir­mati l'il luglio 1859. Si pattuÃŒ con essi il ritorno del Duca di Modena e del Granduca di Toscana nei loro Stati, la partecipazione dell'Imperatore d'Austria, nella sua qualitÀ di Sovrano della Venezia, alla Confederazione italiana, costituenda sotto la presidenza del Papa.

Inoltre, sotto la pressione di Francesco Giuseppe, Na­poleone rinunciÃ’ ad includere i voti delle popolazioni e l'obbligo, da parte dei sovrani restaurati, di elargire la Costituzione e che il Papa separasse amministrativamente le Legazioni dal resto dei suoi Stati.

Insomma Napoleone voleva arrestare lo sviluppo del movimento italiano e, a tale scopo, venuto nella determi­nazione di accordarsi con l'Austria, chiese, a mezzo del proprio ambasciatore a Londra, la mediazione inglese tra lui e Francesco Giuseppe affinchÈ facilitasse l'accordo tra Francia ed Austria. Dagli amici ci guardi Iddio, con quel che segue.

Ma gli approcci fatti dall'ambasciatore francese (il conte di Persigny) fallirono perché Palmerston rilevÃ’ che l'Imperatore austriaco a Venezia e il suo parente a Modena significavano un predominio austriaco nell'Italia centrale e secondo lui: « se il disegno È proprio di Napo­leone III, esso È suggerito da gelosia verso la Sardegna e da tenerezza verso il Papa; ma noi non sentiamo questi affetti né siamo legati ad adottarli ».

Emanuele d'Azeglio, ambasciatore sardo a Londra, co­municava intanto a Cavour che Palmerston gli aveva di­chiarato che « per l'Italia niente era di piÙ utile che la riunione in un regno dell'Alta Italia, del Piemonte, la Lombardia, i granducati di Parma, Modena e Toscana e le Legazioni; ma soggiungeva: non mancano, tra noi in­glesi, degli elementi che ci dissuadono da simili piani, ma sono evidentemente i fautori delle idee austriache ».

E i fautori delle idee austriache erano precisamente la Regina Vittoria e il suo Principe consorte.

Poi, continuando la conversazione tra d'Azeglio e Pal­merston, non mancÃ’ la botta all'inglese, ed eccola qua, secondo quanto scriveva il d'Azeglio: « Lord Palmer­ston mi fece poi chiaramente comprendere che, a suo av­viso, quanto maggiore fosse stato il numero dei porti del costituendo Stato italiano, tanto maggiore sarebbe stata la vulnerabilitÀ per opera dell'Inghilterra » ossia: a buon intenditore poche parole. Dopodiché appare ancora una volta l'essenza del gioco politico della Francia e dell'In­ghilterra: raggiungere attraverso le vicende italiane i mag­giori vantaggi nella propria politica mediterranea.

Tornato Cavour al potere, decise di procedere, dati gli impegni presi prima di iniziare la guerra, alla cessione della Savoia e di Nizza alla Francia, nonostante che la Francia non avesse mantenuto l'impegno di liberare an­che il Veneto. Tali cessioni ritenne necessario subire per le insidie tese da ogni parte contro il nuovo Stato italiano e data l'impossibilitÀ di avere un appoggio attivo contro Napoleone III che, all'accorrenza, avrebbe dovuto concretarsi con un esercito inglese. Ma su questo era una follia sperare, e anche il sacrificio di Nizza fu consumato.

Grande fu lo sdegno suscitato a Londra per le annes­sioni volute dalla Francia e Russel dichiarÃ’ che se l'In­ghilterra si rassegnava al fatto compiuto di Nizza e della Savoia, non avrebbe tollerato altre annessioni francesi, mentre Palmerston arrivava perfino a fare accenni di guerra; ma tali accenni servivano solo a salvare la faccia inglese ed erano troppo in ritardo e quindi perfettamente inutili.

Visti riuniti in uno solo Stato, Lombardia, Legazioni, granducati padani, granducato di Toscana e il regno di Sardegna, il governo di Londra dava incarico a Lord El-liot di convincere Francesco II di Napoli a realizzare istituzioni costituzionali in modo da poter preparare nel sud un solido Stato che potesse gravitare nell'orbita inglese.

Ma il cinque maggio si sparse nel mondo la notizia che Garibaldi era partito da Quarto di Genova con due vapori carichi di garibaldini, diretti verso il sud, per ignota destinazione.

Cominciava cosÃŒ l'epopea dei Mille che faceva poi de­finire il 1860 come « l'annus mirabilis » del Risorgimento italiano.



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