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DECADENZA DELL'ITALIA MERIDIONALE DOPO IL 1860 PARTE SECONDA

Storia



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DECADENZA DELL'ITALIA MERIDIONALE DOPO IL 1860 PARTE SECONDA

L'abisso scavato tra Nord a Sud era veramente grave, tanto che venne nominata una commissione parlamentare che doveva studiare la « questione meridionale ». Tale commissione arrivÃ’ alla strana conclusione che le strade intorno a Napoli erano « splendide » ma erano state costruite dal governo borbonico solo per « ingannare lo straniero », mentre invece nelle provincie non c'erano strade, ma solo una « barbarie senza velo »!



Affermazione del tutto sciocca, rivelatrice, quando non di malafede, dell'ignoranza dei componenti della com­missione. Infatti, sia la rotabile che la ferrovia di Castellammare collegavano la capitale con centri industriali e siderurgici dove da decenni si fabbricavano rotaie, ponti, attrezzature marittime, armi.

PerÃ’ oggi, dopo un secolo dall'unitÀ, l'unica linea fer­roviaria ad un solo binario esistente in Italia È quella che da Salerno porta a Reggio Calabria, mentre la prima fer­rovia costruita, sempre in Italia, fu proprio quella inau­gurata dai Borboni.

E ancora oggi, dopo un secolo di unitÀ, secondo una recente statistica, ben 1262 ( milleduecentosessantadue ) centri abitati del meridione sono tuttora tagliati fuori dal mondo civile per mancanza di strade come dal seguente elenco diviso per provincie:

L'Aquila

ComunitÀ isolate

Chieti

»

Pescara

»

Teramo

»

Campobasso

»

Reggio Calabria

»

Catanzaro

»

Avellino

»

Benevento

»

Caserta

»

Salerno

»

Potenza

»

Tarante

»

Caltanissetta

»

Messina

»

Trapani

»

Per le provincie di Cosenza, Napoli, Matera, Bari, Lecce, Enna, Palermo e Siracusa, mancano notizie in merito. Per concludere: secondo i dati fin qui raccolti in occasione di un congresso tenuto nel mese di maggio 1962 a Salerno, dove furono convocati gli amministra­tori locali del Sud, ben 350.000 italiani sono isolati, non conoscono le strade e non hanno mai visto un'automobile; i morti si portano a spalle dalle case al cimitero; spe­riamo che nel frattempo le cose siano migliorate.

In compenso perÃ’ il meridione d'Italia e la Sicilia le autostrade le avranno non prima del 1970 e quindi il loro progresso economico e lo stesso aumento dei con­sumi (che andrebbe a beneficio solo delle industrie del Nord se non si impianteranno industrie sul luogo), ri­marrÀ sempre contenuto e limitato dalle deficienze stra­dali.

Non solo, ma le provincie meridionali hanno veduto annualmente scemare le loro popolazioni dato che intere famiglie, per vivere, sono state costrette ad emigrare nelle regioni del Nord. E questo È avvenuto proprio nei cosidetti anni del « miracolo economico »; mentre come conseguenza della « congiuntura » e della derivante disoc­cupazione, le prime a rimanere senza occupazione sono state le maestranze meridionali giÀ emigrate al Nord.

Ma la commissione parlamentare, istituita circa cento anni or sono, ignorava che, venduti i beni ecclesiastici, i contadini per lavorare quelle terre e per stabilirsi ave­vano la necessitÀ di nuove strade; mentre i denari rica­vati dalle vendite di tali beni furono impiegati altrove, ma non nel Sud. Secondo H. Fraenkel « le strade esi­stenti servivano a quei contadini solo per fuggire dalla loro stessa terra e disperdersi nel vasto mondo. E alla guerra contro il brigantaggio tenne immediatamente die­tro la grande emigrazione dall'Italia. In quelle regioni l'ottimismo economico di Cavour fu smentito dai fatti ». E piÙ oltre: « La vendita delle proprietÀ statali danneggiÃ’ soprattutto l'economia del Mezzogiorno d'Italia ». Il con­tante affluÃŒ nelle casse dello Stato e all'economia privata vennero tolte le modeste disponibilitÀ sulle quali essa poteva fare assegnamento nelle regioni di provincia.

Da parte loro i nuovi proprietari dei beni fondiari iniziarono uno sfruttamento intensivo e irrazionale. Dove c'erano ancora dei boschi, questi furono distrutti e poi­ché, né lo Stato, né i privati si davano pensiero del re­gime delle acque, la malaria dilagÃ’. In tal modo il diritto di proprietÀ manchesteriano apportÃ’ danni gravissimi nel­l'Italia meridionale e in Sicilia e diede la spinta decisiva al movimento emigratorio, che ebbe inizio nel 1867.

Il Regno d'Italia diede il diritto di mutar residenza a una popolazione che da secoli era legata alla terra; con ciÃ’ essa fu strappata alle antiche forme di vita sociale senza peraltro accompagnarla e sostenerla nella nuova li­bertÀ. Nessuno voleva intendere le speciali condizioni del Mezzogiorno, e forse meno di chiunque altro i depu­tati meridionali, accaniti avversari della Chiesa, seguaci dell'ideale di libertÀ, ma incapaci di comprendere le neces­sitÀ economiche e sociali ».

Le entrate del bilancio statale nei primi anni dell'UnitÀ furono gonfiate con un introito straordinario di circa un miliardo di lire (di allora); con le vendite delle pro­prietÀ dello Stato, per lire 293.000.000; e per le ven­dite dei beni della Chiesa per lire 707.000.000; e ben 600.000.000 ricavati dalle vendite di cui sopra, prove­nivano dalle provincie del Sud.

Nel 1875, Pallora giovane e colto uomo politico Sidney Sonnino, fece uno studio sulla situazione sociale in Si­cilia; nel 1879 fu creata una «commissione agraria» par­lamentare e nel 1884 l'onorevole Jacini presentÃ’ la rela­zione finale basata sugli studi del Sonnino. In tale rela­zione si metteva in evidenza come il denaro veniva pre­stato ad usura con tassi che arrivavano fino al 30%. Finalmente il Paese cominciava a concepire la « questione meridionale » come un problema sociale e si mostravano in piena luce le terribili conseguenze delle vendite dei beni demaniali, mentre il disordine economico in quelle re­gioni aumentava e l'emigrazione sempre crescente non contribuiva certamente a diminuirlo. « Ma mentre al Nord di Roma erano stati investiti 541.000.000 di lire per la costruzione delle ferrovie, al Sud la cifra degli inve­stimenti arrivava solo a 248 milioni. Il Mezzogiorno avrebbe avuto ragione di ribellarsi ».

Dal 1876 al 1886 ogni anno partivano per trovare lavoro all'estero, una media di 135.000 contadini meridionali, i cosidetti « cafoni »; e nel 1888 il numero degli emigranti era giÀ salito, con rapida progressione a ben 195.000 unitÀ all'anno. Abbandonavano le loro famiglie affamate e non sapendo come e dove avrebbero potuto trovare un lavoro. In anni posteriori l'emigrazione meri­dionale ebbe punte maggiori. Quando giungevano nelle lontane Americhe si nutri­vano di pane e cacio e dormivano in dieci in una stanza; appena potevano, mandavano ai loro paeselli i pochi ri­sparmi raccolti a stento, vivendo di stenti. Ma mandavano ad ogni costo un po' di soldi che, som­mati insieme, costituivano le cosidette « rimesse degli emigranti » che contribuivano a migliorare il disavanzo della bilancia commerciale italiana. L'agricoltura delle provincie settentrionali era protetta dal dazio sul frumento e l'industria dell'alcool e dello zucchero vi godevano speciali favori.

Una tariffa doganale concordata con la Francia nel 1876 aveva assicurato un favorevole svolgimento alle industrie dell'Italia settentrionale e permetteva al Mezzo­giorno lo smercio in Francia del suo piÙ importante pro­dotto: il vino. Ma dal 1887 al 1888, iniziatasi la guerra doganale tra Francia e Italia, le esportazioni verso la sorella latina caddero da 182.000.000 a 119.000.000. La seta dell'industria del Nord riusciva ancora ad entrare in Francia attraverso la Svizzera, ma il vino nell'Italia meridionale andava a male nei tini, poiché la Francia il vino lo comprava in Spagna, in Portogallo e in Algeria. E piÙ si faceva acuta la crisi agraria, piÙ si accresceva l'emigrazione, e mentre i contadini meridionali erano costretti a lasciar scorrere per terra i loro vini, le distil­lerie dell'Italia Settentrionale distillavano grani stranieri, esenti da dazi di importazione.

Nel 1893 due grandi banche industriali (il Credito Mobiliare e la Banca Generale) chiudevano gli sportelli, provocando grande scompiglio anche presso i piccoli ri­sparmiatori. In Sicilia si costituivano i fasci operai, con­seguenza del malcontento e della disoccupazione. Tali fasci organizzati dal socialista De Felice richiamavano l'attenzione del governo di allora sulla situazione meri­dionale, ma con effetti ben scarsi.

La vita economica e sociale italiana non È mai stata felice. Il Risorgimento costÃ’ indubbiamente gravi sacri­fici per tutti, ma ci furono regioni piÙ fortunate e piÙ favorite di altre. E non È certo fuori luogo ricordare che tra esse la Sardegna, che era sempre stata amministrata dal Piemonte, si trovava in condizioni pietose, con strade scarse, poche scuole e senza industrie. E quando si discu­teva in Sicilia l'annessione o meno al Piemonte, o addi­rittura l'insediamento di un Principe di Casa Savoia sul trono dell'isola, gli oppositori avevano buon gioco affer­mando che l'esempio delle pessime condizioni nelle quali si trovava, da sempre, la Sardegna era un fatto non certo incoraggiante.

In ogni guerra, cominciando da quella del secolo scorso per la conquista dell'Etiopia, per passare poi a quella libica, a quella mondiale del '15-'18 e all'ultima guerra, Sardegna, Sicilia, Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Lu­cania, Calabria, hanno sempre dato ottimi combattenti, ma da tali guerre nessun beneficio era a loro derivato.

La media Italia e soprattutto l'Italia del Nord, hanno dato anche loro e sempre, combattenti valorosi; e per citare un solo esempio per tutti, È sufficiente ricordare che il labaro piÙ ricco di medaglie d'oro È quello dei combattenti della provincia di Vercelli.

Fatto il doveroso riconoscimento di questa vera unitÀ d'Italia nel valore e nel sacrificio, È altrettanto doveroso riconoscere che mentre i Sardi e tutti gli Italiani del Sud per il fatto di non avere industrie, o per lo meno, per averle in misura estremamente ridotta, dalle guerre ricavavano solo dolori e sacrifÃŒci e non i guadagni procu­rati dalla attrezzatura industriale per le forniture militari.

Nel Nord invece ogni guerra ha portato, per forza di cose, un maggiore sviluppo industriale, che ha reso piÙ profondo il solco fra le regioni del Nord, sempre piÙ ricche, e la Sardegna e le regioni meridionali, sempre piÙ povere. E mentre queste ultime fornivano le masse per le fanterie, dopo esserci messi sull'attenti davanti alle penne nere di tutte le Alpi e dell'Appennino abruzzese, È bene ricordare che mentre al Sud e in Sardegna non esiste­vano o quasi i bracciali tricolori degli esonerati per atti­vitÀ industriali, indispensabili per fare e per vincere ogni guerra, al Nord tali operai militarizzati erano moltissimi e preziosi. A questo punto È anche doveroso ricordare che dopo Caporetto, senza quei bracciali, specialmente in Liguria, dove si seppe in poco tempo rimpiazzare le boc­che da fuoco, piccole, medie e grandi perdute nella riti­rata, la guerra non si sarebbe potuta certamente vincere. Fatto tale doveroso riconoscimento, È anche doveroso aggiungere che, dopo ogni guerra, come conseguenza di una sempre piÙ potente attrezzatura industriale nel solo Nord, il solco economico tra Nord e Sud si È sempre maggiormente approfondito.

Ma le donne sarde, come le calabresi, le siciliane e tutte le altre, sapevano solamente che i loro cari erano al fronte, e che la fame era nelle loro case; mentre molte altre case italiane venivano confortate dalle paghe degli operai delle industrie.

Se le industrie meridionali non fossero state distrutte con provvedimenti molto improvvisati e altrettanto illo­gici, dopo il 1860; se non si fosse ignorata la necessitÀ di industrializzare anche il meridione, i bracciali degli esonerati avrebbero potuto essere equamente divisi tra le famiglie italiane di tutte le regioni, raggiungendo anche lo scopo di rendere meno vulnerabile dalle offese ne-miche, l'attrezzatura della produzione bellica.

Per queste ragioni i combattenti, che dalle trincee erano stati assegnati al campo d'aviazione di Torino per diventare piloti, osservavano nell'estate 1916, con stu­pore e costernazione, come i soldati che partivano da quella cittÀ per raggiungere il fronte era accompagnati da dimostrazioni ostili alla guerra, e, peggio ancora, non riuscirono a comprendere come in Torino, dopo Caporetto, le truppe dovettero sparare contro folle che invo­cavano la pace. E a Torino circolava denaro proveniente dalle indu­strie belliche, mentre nelle campagne del Sud c'erano solo miseria e lutti.



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