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GLI APOSTOLI

Storia



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GLI APOSTOLI

quest'opera missionaria dapprima si sviluppò soltanto in Palestina e nelle contrade vicine, dove vivevano colonie ebree. Perché, in un primo mo­mento, tra gli Apostoli fu tacitamente convenuto che Gesù era il Redentore non di tutti gli uomi­ni, ma soltanto del popolo ebraico. Fu dopo la missione di Paolo ad Antiochia e il successo che egli raccolse fra i gentili di questa città, che si pose e fu risolto il problema dell'universalità del Cristianesimo.



Paolo fu per la 'ideologia', come oggi si di­rebbe, della nuova fede quel che Pietro fu per la sua organizzazione. Era un ebreo di Tarso, figlio di un fariseo benestante, e quindi d'origine borghese, che gli trasmise il più prezioso di tutt'i beni, a quei tempi: la cittadinanza romana. Ave­va studiato il greco e seguito le lezioni di Gamaliel, il presidente del Sinedrio. Aveva un'intelli­genza acuta, tipicamente ebraica nello spaccare il capello, e un carattere difficile: imperioso, impaziente, e spesso ingiusto. La sua prima rea­zione verso Cristo, che non conobbe di persona, e i cristiani, fu di violenta antipatia. Li conside­rava eretici, e quando gliene capitò sotto mano uno, Stefano, condannato per infrazione alla leg­ge, collaborò con entusiasmo alla sua lapidazio­ne. Un giorno sentì che i cristiani guadagnavano proseliti a Damasco. Chiese al Sinedrio di lasciarvelo andare per arrestarli, e durante il viag­gio fu folgorato da uno squarcio di luce e udì una voce che diceva: «Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?». «Chi sei?», chiese sbigottito. «So­no Gesù». Rimase cieco per tre giorni, poi andò a farsi battezzare, e diventò il più abile propa­gandista della nuova Fede.

Per tre anni predicò in Arabia, poi tornò a Gerusalemme, si fece perdonare da Pietro il suo passato di persecutore, e con Barnaba andò a di­rigere l'opera di proselitismo fra i greci di Antiochia. Quando seppero che i due missionari non richiedevano la circoncisione per accettare con­versi, come Mosè prescriveva, cioè li reclutavano anche fra i gentili, gli Apostoli li mandarono a chiamare per avere spiegazioni. Con l'appoggio di Pietro, la battaglia fu vinta da Paolo, ma ri­prese subito dopo la sua seconda tournée in Gre­cia. La maggioranza degli Apostoli era ancora fedele alla Legge, frequentava il Tempio, non voleva rompere col suo popolo e con la sua tradizione. Paolo sentì che, a lasciarli fare, costoro avrebbero fatto del Cristianesimo soltanto una eresia ebraica, sostenne le sue tesi in pubbliche prediche e andò a rischio di essere linciato dalla folla. Volevano processarlo per empietà. Ma lo salvò la cittadinanza romana che gli dava il di­ritto di appello all'imperatore. Così lo imbarca­rono per Roma, dove giunse dopo un viaggio avventurosissimo.

Nell'Urbe lo ascoltarono con pazienza, non capirono un'acca della questione ch'egli espo­neva, compresero soltanto che la politica non c'entrava e, in attesa che arrivassero gli accusa­tori, lo trattarono bene, limitandosi a mettergli un soldato di guardia alla porta della casa che gli avevano lasciato scegliere. Paolo vi invitò gli esponenti della colonia ebraica, ma non riuscì a persuaderli. Anche i pochi fra loro ch'erano già cristiani respinsero con orrore l'idea che il bat­tesimo fosse più importante della circoncisione, e a lui preferirono Pietro, che giunse poco dopo e trovò un'accoglienza molto più calda.

Paolo riuscì a convertire qualche gentile; ma in sostanza rimase solo e, animato com'era da implacabile zelo missionario, lo sfogò nelle fa­mose Lettere che scrisse un po' a tutti i vecchi amici, di Corinto, di Salonicco, di Efeso, e che costituiscono ancor oggi la base della teologia cristiana. Secondo qualche storico, egli fu assol­to, tornò a predicare in Asia e in Spagna, fu di nuovo arrestato e condotto a Roma. Ma pare che non sia vero. Paolo non fu mai liberato, nell'amarezza di quel solitario esilio perse a poco a poco la fede nell'imminente ritorno di Cristo sul­la terra, o per meglio dire la tradusse in quella dell'aldilà, sigillando così la vera essenza della nuova religione.

Non sappiamo come, quando e perché lo pro­cessarono di nuovo. Sappiamo soltanto che l'ac­cusa fu: 'Disobbedienza agli ordini dell'impera­tore e pretesa che il vero re sia un tale chiamato Gesù'. Può darsi infatti che non ci fosse nient'altro a suo carico. I poliziotti vanno per le spicce e, sentendo Paolo dare del re a Gesù, quan­do sul trono c'era Nerone, lo arrestarono e con­dannarono. Una leggenda vuole ch'egli sia stato soppresso lo stesso giorno dell'anno 64 in cui Pie­tro fu crocifisso e che i due grandi rivali, incon­trandosi sulla via del supplizio, si abbracciassero in segno di pace. La cosa è poco credibile. Pietro si trovò mescolato con gli altri cristiani, uccisi in massa come responsabili dell'incendio di Ro­ma. Paolo era un 'cittadino', e come tale aveva diritto a qualche riguardo. Infatti si limitarono a decapitarlo. E là dove si ritiene ch'egli sia sep­pellito, la Chiesa, due secoli dopo, fondò la basi­lica che ne porta il nome: San Paolo fuori le Mura.

Quante reclute aveva fatto il Cristianesimo a Roma, nel momento in cui scomparvero i due grandi Apostoli?

Le cifre sono impossibili da precisare, ma non crediamo che superassero qualche centinaio, al massimo qualche migliaio. Il fatto stesso che le autorità vi prestassero poca attenzione, lo dimo­stra. L'accusa dell'incendio non faceva parte di una politica persecutoria; fu uno stratagemma estemporaneo per fuorviare i sospetti contro Ne­rone. Il massacro, sul momento, parve aver di­strutto per sempre la setta. Poi, come tutti i mas­sacri, si rivelò un fertilizzante. Ma questo fu dovuto all'organizzazione che Pietro le aveva dato.

I cristiani si riunivano in ecclesiae, cioè in chiese o congregazioni, che in quei primi tempi non ebbero nulla di segreto e di cospiratorio. I paragoni che oggi si fanno con l'organizzazione cellulare comunista sono assolutamente ridicoli e privi di fondamento. Non solo perché nelle eccle­siae si predicava l'amore invece dell'odio; non solo perché non vi si svolgeva nessun proselitismo politico. Ma soprattutto perché non c'era ombra di segretezza, e chiunque si presentasse veniva accolto senza sospetti né diffidenze. Un'altra fal­sa credenza di oggi è che gli adepti fossero sol­tanto proletari, 'la feccia', come l'avrebbe chia­mata più tardi Gelso. Niente di più inesatto. C'era di tutto. E in genere si trattava di gente industriosa e pacifica, di piccoli e medi rispar­miatori, che finanziavano le comunità cristiane più povere. Luciano il miscredente li definiva: 'Degl'imbecilli che mettono insieme tutto quello che possiedono'. Tertulliano il convertito preci­sava: 'Che mettono insieme ciò che gli altri ten­gono separato e tengono separata la sola cosa che gli altri mettono insieme: la moglie'.

Una discriminazione, imposta dalle circostan­ze, ci fu soltanto fra la popolazione di città e quella di campagna. I primi proseliti li diede la prima, per ovvie ragioni: perché solo in città c'è modo di riunirsi assiduamente, perché le scon­tentezze vi sono più acute e le menti più aperte alla critica, perché in campagna le tradizioni e i costumi si conservano di più e una maggiore forza morale li sorregge. Ed ecco perché i cristia­ni cominciarono a chiamare i miscredenti paga­ni, cioè contadini, da pagus che vuol dire vil­laggio.

La prima cosa cui mirarono questi precursori fu l'instaurazione di un modello di vita sano e decente, di cui comprendiamo il prestigio e il fa­scino ch'era destinato ad esercitare in una capi­tale che si faceva sempre più malsana e svergo­gnata. L'origine ebraica della nuova fede e di coloro che vi si convertirono per primi era com­provata dall'austerità che imponeva. Le donne partecipavano alle funzioni del culto, che ancora si esaurivano nella preghiera, ma velate, perché i capelli potevano distrarre gli angeli, come dice san Gerolamo che voleva farli tagliare a tutte. E un regime di vita ordinato e casalingo era la regola fondamentale. La festa del sabato, anch'essa di origine ebraica, era osservata, e la si celebrava con una cena collettiva, che comincia­va e finiva con le preghiere e con la lettura delle Sacre Scritture. Il prete benediceva il pane e il vino, che simboleggiavano rispettivamente il cor­po e il sangue di Gesù, e la cerimonia finiva col bacio d'amore che tutti si scambiavano, ma che dovette dare origine a qualche diversivo in con­trasto con la teologia perché di lì a poco si prese a praticarlo solo da uomo a uomo e da donna a donna, e con la raccomandazione di tener chiusa la bocca e di non ripeterlo se dava piacere.

L'aborto e l'infanticidio furono aboliti ed esecrati dai cristiani in mezzo a una società che sempre più li praticava e ne stava morendo. An­zi, ai fedeli fu fatto obbligo di raccogliere i trovatelli, adottarli e educarli nella nuova reli­gione. L'omosessualità era bandita; il divorzio era ammesso solo su richiesta della moglie, se costei era pagana. Meno successo ebbe la proibi­zione di frequentare il teatro. Ma, tutto somma­to, la regola rimase severa specie finché fu prati­cata quasi esclusivamente dagli ebrei. Poi, a poco a poco, col crescere di numero e d'importanza dei gentili, essa si fece più accomodante. E la festa austera del sabato diventò piano piano quella più allegra della domenica.

In questo 'giorno del Signore' ci si riuniva intorno al prete che leggeva un brano delle Scrit­ture, dava l'avvio alle preghiere, eppoi teneva un sermone. Questa fu la prima rudimentale Messa, che poi si sviluppò secondo un più preciso e com­plicato rituale. In quei primi anni gli ascoltatori ne erano anche i protagonisti, perché ad essi veniva concesso di 'profetizzare', cioè di espri­mere in stato di estasi dei concetti, che poi il sacerdote doveva interpretare. Quest'uso finì per­ché minacciava di provocare il caos proprio là dove la Chiesa si stava sforzando di mettere or­dine: nelle questioni teologiche.

Soltanto due dei sette Sacramenti erano al­lora praticati: il Battesimo non si distingueva dalla Cresima perché veniva imposto a persone già adulte, quali furono i primi conversi. Poi, piano piano, si cominciò anche a nascere cristia­ni, e allora i due Sacramenti furono separati, il secondo costituendo la 'conferma' del primo. Il matrimonio era soltanto civile; il prete si limi­tava a benedirlo. Invece grandi cure si aveva del funerale, perché, dal momento che un uomo era morto, esso diventava esclusiva pertinenza della Chiesa e tutto doveva essere predisposto per la sua resurrezione. Il cadavere doveva avere la sua propria tomba, e il prete officiava durante il sep­pellimento. Le tombe erano costruite secondo il costume siriano ed etrusco: in cripte scavate nel­le pareti di lunghe gallerie sottoterra: le cata­combe.

Questo uso durò fino al nono secolo, poi decadde. Le catacombe diventarono mèta di pel­legrinaggio, la terra le ricoperse e furono dimen­ticate. Vennero riscoperte nel 1578 per un sem­plice caso. Il fatto che le loro ramificazioni fossero complicate e ritorte ha fatto pensare che le si fosse costruite come nascondigli per la 'co­spirazione'. E su questa ipotesi si sono imperniati molti romanzi.

Così equipaggiata, nacque la vera religione; quella non più limitata a un popolo e a una razza, come il giudaismo, o a una classe sociale, come il paganesimo di Grecia e di Roma, che la consi­derava monopolio dei suoi 'cittadini'. Il suo livello morale, la grande Speranza che apriva nel cuore degli uomini e l'impeto missionario di cui li accendeva facevano dire orgogliosamente a Tertulliano: « Siamo soltanto di ieri. E già riem­piamo il mondo»



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