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IL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1768 ALLA RIVOLUZIONE FRANCESE
La sposa di Ferdinando IV, Maria Carolina, figlia di Maria Teresa d'Asburgo, era cresciuta a Vienna con i fratelli Giuseppe (poi imperatore d'Austria) e Pietro Leopoldo (poi granduca di Toscana).
Tanto lei che i fratelli erano stati allevati in una atmosfera di riforme e di avversione verso lo strapotere dei religiosi, e tali sentimenti portÃ’ con sé quando divenne Regina. CosÃŒ, mentre il marito Ferdinando si compiaceva di vivere col popolo, adottandone il linguaggio, i gusti e le usanze, Maria Carolina, donna vivace e di brillante ingegno, si sentÃŒ portata verso una politica moderna e spinta verso le nuove idee dei pensatori napoletani.
Pensatori che, cominciando dal Vico, precedettero di gran lunga nel tempo e nella profonditÀ dei concetti i pensatori francesi antesignani della rivoluzione del 1789.
Lo stesso Giambattista Vico, napoletano vissuto dal 1668 al 1744, È tuttora attuale come pensatore mercé i suoi studi filosofico-morali e quelli storico-letterari e di giurisprudenza, che lo portarono ad affermare l'intima unione tra la filosofÃŒa e la storia. Tale affermazione È la chiave di volta del pensiero vichiano e il segreto della
sua attualitÀ. Come pedagogista il Vico precorse altri studiosi, anche stranieri, e l'importanza del filosofo in questo settore fu avvertita per la prima volta da Vincenzo Cuoco, nato nel Molise nel 1770 e morto a Napoli nel 1823, il quale affermava « essere l'istruzione e l'educazione una medesima cosa e dovevano essere universali, pubbliche ed uniformi, e date a tutti i cittadini senza distinzione di classe». Quindi l'istruzione primaria doveva essere gratuita, a tutti accessibile, e impartita secondo programmi approvati dallo Stato con un metodo di ispirazione vichiana seguendo il principio dello sviluppo graduale dello spirito.
Tra gli altri pensatori meridionali sono da ricordare particolarmente il grande Gaetano Filangieri, figlio del principe di Arianello e della duchessa di Fragnito, il quale, nato a Napoli nel 1752, pubblicava, a soli diciannove anni, il volume della « Pubblica e privata educazione » e nel 1774 il volume delle « Riflessioni politiche ». Con esse il Filangieri condannava il dispotismo e sosteneva i governi moderati, affermando che: « i governi debbono provvedere alla conservazione e alla tranquillitÀ dei cittadini » riformando l'ordine e i modi di governare, i sistemi che regolano le ricchezze pubbliche e private, le leggi civili e quelle penali riguardo alle confessioni religiose, ai rapporti domestici, all'onestÀ dei costumi e allo incremento della cultura.
Tale opera fu veramente insigne per la modernitÀ e l'arditezza dei nuovi concetti in essa espressi e per l'eco che suscitÃ’ in Italia e fuori. Molti anni dopo, Napoleone, Primo Console, mostrava a Carlo, figlio del Filangeri, il libro di suo padre, dallo stesso Napoleone tenuto sul proprio tavolo di lavoro, a portata di mano, nella sala del Consiglio di Stato ove erano elaborate le nuove leggi penali; presentando il libro, Napoleone disse: « Ce jeune homme notre maÃŒtre À tous » ossia « questo giovane È stato il maestro di tutti noi ».
Nel 1784 Ferdinando IV per le esortazioni della Regina Maria Cristina premiÃ’ il Filangieri, concedendogli una pensione e permettendogli di abbandonare l'ufficio di membro del Consiglio supremo delle Finanze e di ritirarsi a Cava per poter meglio dedicarsi ai suoi studi.
Intanto la regina era entrata a far parte di una loggia di « liberi muratori », ne proteggeva i lavori e ne accoglieva entusiastiche lodi e tra esse quelle in versi del poeta Jérocades, versi a lei dedicati quando salvÃ’ e liberÃ’ dal carcere i liberi muratori fatti incarcerare dal Ministro Tanucci2. E benché il Re Ferdinando IV non avesse osato affrontare le prove per essere ammesso tra i liberi muratori, lo stesso poeta cantava:
Viva viva il gran Ferdinando nostro Padre e nostro Re.
Eleonora Pimentel Fonseca scriveva anche lei dei versi per esaltare la Reggia: versi che Benedetto Croce definÃŒ di « contenuto cortigiano in forma metastasiana ».
Dopo l'espulsione dei Gesuiti dal regno di Napoli fu elargita una pensione di trecento ducati annui a Giovanni Giannone figlio di Pietro Giannone. Il ministro Tanucci, sollecitatore di tale pensione, dichiarÃ’ che « non conveniva alla felicitÀ del Governo e al decoro della SovranitÀ il permettere che resti nella miseria il figlio del piÙ grande, piÙ utile e piÙ ingiustamente perseguitato uomo che il Regno abbia mai prodotto in questo secolo ».
Nuove scuole e nuovi collegi furono aperti e, nonostante le rimostranze di alcuni vescovi, gli insegnanti furono scelti con intendimenti liberali, scevri di ogni esclusivismo religioso.
Fiorirono pubblicazioni ardite e geniali come i « Saggi » di Mario Pagano, e scritti di Francesco Conforti su materie civili ed ecclesiastiche.
Furono soppressi parecchi conventi, ristrette le decime
ecclesiastiche, interdetti gli acquisti delle manimorte, estesa la giurisdizione laicale e si dichiarÃ’ non valida qualunque Bolla Papale priva di regio consenso.
E, infine, nell'anno 1776 fu deciso di non presentare piÙ al Papa l'annuo tributo della Chinea (cavallo bianco riccamente bardato), e di 7000 ducati d'oro in segno di vassallaggio del Re verso il Pontefice, suscitando lo sdegno del Papa che ogni anno ripetÈ la sua protesta fino al 1859.
Re Ferdinando IV, amante della caccia e della vita all'aperto, È rimasto famoso nella storia delle manifatture napoletane per una sua originalissima trovata.
Lui soleva passare la maggior parte delle giornate a Caserta e nei suoi dintorni, ed un giorno pensÒ di istituire nei pressi della reggia vanvitelliana, in localitÀ San Leucio, una manifattura di seta. Tale manifattura ebbe una organizzazione specialissima e completamente nuova ed originale per i suoi tempi. Indubbiamente alla creazione di tale manifattura contribuirono le idee e le dottrine del Filangieri, e per tale ragione la fabbrica di San Leucio fu definita dai contemporanei come la piÙ bella opera dovuta agli insegnamenti del Filangieri stesso. Furono costruiti, allo scopo, diversi edifici per i labora-tori ed altri per le case degli operai e furono assunti molti giovani di ambo i sessi sorvegliati e diretti dal parroco del luogo e da altri sacerdoti.
Con macchine e telai, fatti venire dall'estero, la fabbrica in breve funzionÃ’ in modo egregio dando una produzione ottima e fine, rimasta tuttora famosa.
I principi base che governavano la fabbrica di seterie di San Leucio erano tre:
1° - L'educazione pubblica, prima origine della pubblica
tranquillitÀ.
2° - La buona fede, prima virtÙ sociale. 3° - II merito, sola distinzione tra gli individui.
L'istruzione era obbligatoria per sei anni; prescritta la uniformitÀ del vestire; il matrimonio permesso solo agli operai provetti ed abolite le doti; aboliti i testamenti e nelle successioni paritÀ di diritti tra maschi e femmine.
E (attenzione!) obbligo ad ogni lavoratore di versare una tenue aliquota di guadagni ad una cassa della caritÀ istituita a beneficio degli invalidi per malattia o per vecchiaia.
Ossia dopo un secolo di diffamazione operata a danno dell'Italia meridionale oggi si deve ammettere che ivi, circa due secoli fa, si esperimentava l'organizzazione del lavoro in termini di uguaglianza e di previdenza sociale; previdenza sociale che solo da un quarantennio È diventata una realtÀ per tutta la penisola, mentre i famosi « diritti dell'uomo » furono emanati dalla rivoluzione francese quindici anni dopo la stesura delle regole politico-economiche e sociali di San Leucio
3.Inoltre, secondo Corrado Barbagallo, la proprietÀ feudale fu, nel Napoletano, e non nel Nord d'Italia, colpita da riforme, prima da Carlo III e poi da Ferdinando IV e molte terre passarono dalle mani di oziosi e inetti signori a quelle di borghesi arricchiti, piÙ capaci e piÙ volenterosi. Specie verso il mare, terre da secoli incolte vennero dissodate e messe a coltura; terreni acquitrinosi in Calabria, in Puglia e altrove, vennero bonificati. Incoraggiati dalle esenzioni venticinquennali e quarantennali, concesse dal governo, gli agricoltori intrapresero quelle piantagioni di ulivi che fino ad allora avevano trascurate, e gli orti, e i frutteti della Campania, non solo alimentarono una popolazione divenuta piÙ densa, ma permisero una larga esportazione dei loro prodotti. Il commercio interno ed esterno, ravvivato, reclamÒ nuove strade carrozzabili; strade selciate, e molte nuove, vennero aperte, e dalla popolosa capitale parecchie irraggiarono in tutte le direzioni, per oltre 1200 miglia di lunghezza.
Altrettanto notevole fu la ripresa economica delle cittÀ costiere. La pugliese Gallipoli mandÃ’ i prodotti della campagna circostante in Germania, in Boemia, in Ungheria e si calcola che il suo commercio mise in circolazione nel Regno oltre 14.000.000 di ducati. Il porto di Bari si avviÃ’ a riconquistare l'antica importanza; marinai del Salernitano pescavano il corallo e le spugne per tutte le coste d'Italia, della Sardegna e della Barberia. Anche la Sicilia, da secoli sonnolenta, si ridestÃ’ poiché all'estero si richiesero vini ed agrumi; le falde dell'Etna e dei Monti Peloritani, sino all'estrema punta del Faro, cominciarono a coprirsi di vigneti e di agrumeti e il porto di Catania acquistÃ’ nuova importanza. Per tali condizioni si venne a formare un ceto medio colto ed ardito, di giuristi, di avvocati, letterati, industriali, agricoltori, al quale si andava mescolando una parte della giovane nobiltÀ.
Questa « gentry » meridionale, come la chiama lo scrittore inglese Goodwin, cominciÃ’ ad avere « il piÙ gran peso nel governo » ed ebbe parte grandissima nel primo Risorgimento della Penisola.
Gentile lettore, spero di essere riuscito a dare un'idea consona alla veritÀ di quello che erano e di come pensavano Ferdinando IV e Maria Carolina al principio del loro regno, e dell'importanza degli studi politici e sociali dei pensatori meridionali dei secoli diciassettesimo e diciottesimo; studi protetti e incoraggiati dalla borbonica nonché massonica famiglia reale.
Poi venne la rivoluzione francese e tutto precipitÃ’ nel baratro degli assassinii, dei saccheggi e dell'occupazione straniera.
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