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1848 - INSURREZIONE DEL LOMBARDO-VENETO PER L'INDIPENDENZA ITALIANA

Storia



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1848 - INSURREZIONE DEL LOMBARDO-VENETO PER L'INDIPENDENZA ITALIANA

Nell'anno 1847 in tutta la penisola italiana si mani­festÃ’ una grande carestia preceduta da intemperie incon­suete con conseguenti alluvioni; il prezzo delle derrate era aumentato e il malcontento delle popolazioni cre­sceva per ogni dove. In Lombardia si richiedevano prov­vedimenti governativi mentre bande di gente esasperata assalivano carriaggi e barche fluviali che trasportavano grano.



Ossia stava avvenendo quanto, in tutta la storia del mondo, attraverso i secoli, era sempre avvenuto: lo svi­luppo del malcontento popolare provocato dalla miseria che inevitabilmente precede e poi acuisce, il malcontento politico.

A Roma e negli Stati Pontifici si susseguivano e aumen­tavano d'intensitÀ le manifestazioni popolari e il 17 lu­glio truppe austriache, quasi tutte croate, passavano sulla destra del Po ed occupavano Ferrara per dimostrare che il governo austriaco era assolutamente contrario ad ogni mutamento politico in senso liberale. Mossa piÙ maldestra e controproducendo non si sareb­be potuta ideare e, peggio ancora, portarla a compimento.

Proclamata la repubblica, la Francia acclamÃ’ suo Pre­sidente il principe Luigi Napoleone Bonaparte che tanto bene e tanto male doveva poi procurare all'Italia.

Il 16 marzo del 1848 avevano inizio le sommosse di Venezia con la liberazione dal carcere dei prigionieri po­litici Daniele Manin e Nicolo Tommaseo; di lÃŒ a poco, con l'esodo delle truppe austriache, fu proclamata la Repubblica di Venezia con Daniele Manin presidente.

Il 18 marzo ebbe inizio la rivolta di Milano contro il governo austriaco, le cui truppe erano comandate dal maresciallo Radetzky. Detto maresciallo a furore di po­polo fu cacciato da Milano con tutti i suoi soldati il giorno 22 marzo, dopo episodi di abnegazione e di eroi­smo da parte di tutta la popolazione ivi comprese le don­ne, i giovanetti e i vecchi. I cittadini milanesi caddero in numero di trecento e fra essi la maggior parte erano popolani e studenti. Le perdite austriache tra morti, fe­riti, dispersi e prigionieri, ammontarono a circa un mi­gliaio di soldati.

In poco tempo tutta la Lombardia, tutto il Veneto e il Friuli si ribellarono e scacciarono gli Austriaci e in ogni capoluogo di regione si costituÃŒ un governo provvi­sorio formato dovunque da cittadini conosciuti come pa-triotti di valore, per intelligenza, cultura e integritÀ di carattere.

A Milano, in attesa che dal Piemonte giungesse la so­spirata notizia dell'intervento dell'esercito sardo per com­pletare la definitiva cacciata delle armi austriache oltre i confini naturali della penisola, si lavorava per costituire un esercito lombardo, valendosi di vecchi ufficiali e di volontari provenienti da ogni regione.

Naturalmente, non mancarono i dissidi e i contrasti ideologici tra i vari membri del Governo provvisorio milanese e specialmente tra il Cattaneo repubblicano e il presidente Casati favorevole ad un accordo con il governo di Torino; ma tali cose sono inevitabili in un am­biente entusiasta ed eccitato che aveva raggiunto in po­chi giorni la realizzazione di quello che era stato un so­gno per ogni lombardo, ossia la cacciata dello straniero. Da tutte le parti d'Italia accorrevano volontari e l'ar­rivo piÙ inaspettato fu quello della Principessa Belgioioso-Trivulzio che era partita dal porto di Napoli alla testa di centocinquanta volontari e, sbarcata a Livorno il 6 apri­le 1848, raggiungeva Milano. Tali volontari, data l'asso­luta ignoranza del popolo lombardo circa l'Italia meri­dionale, furono dai milanesi battezzati come «calabresi» e furono accolti con grandi applausi ed evviva popolari e, guidati dall'intrepida principessa, sfilarono sotto le fi­nestre del palazzo Marino. Il presidente Casati si affacciÃ’ al balcone rivolgendo un caldo saluto « ai fratelli soprag­giunti a portare il loro contributo a prÃ’ della causa co­mune », affermando essere « meta di tutti i desideri, l'ita­lica unitÀ e il Sebeto e l'Olona non irrigare ormai piÙ che una medesima terra ». CosÃŒ disse, riscuotendo calda approvazione; ma qualche istante dopo alla Principessa che gli presentava la piccola schiera volontaria che ella aveva guidato fin lÀ, e che diceva essere questa appena l'avanguardia dei centomila italiani che sarebbero volati ad un appello, il Casati replicava spaventato: « II Cielo ci scampi del soccorso di una tanta armata ».

E piÙ tardi chiuso nel silenzio del suo studio, annun­ciava all'amico conte di Castagneto l'arrivo della Belgio-ioso « con una truppa di centocinquanta avventurieri ».

E perché mai « avventurieri se ancora ignorava chi fossero, mentre È fama che tra essi figurassero alcuni giovani delle migliori famiglie napoletane »?

E dal 1848 ad oggi l'incomprensione degli italiani del Nord verso quelli del Sud ha sempre rappresentato un ostacolo alla « vera unitÀ d'Italia ».

Se poi teniamo presente che nel 1860 il ministro Cavour, conversando a Torino (durante due ore di collo­quio) col pugliese Lacaita, gli dichiarava di conoscere meglio il popolo, il paese, le leggi ecc. d'Inghilterra che non quelli di Napoli, si puÃ’ agevolmente capire come il dramma dell'incomprensione tra gli Italiani delle varie regioni abbia radici profonde e lontane tra le stesse classi colte e nella mente e nel cuore di uomini politici insigni come Cavour.

E questo studio, mettendo volutamente l'accento sui vari errori divulgati dalla storia ufficiale e sui vari errori divulgati dal pettegolezzo popolare, non ha per fine una critica banale e sterile, ma È fatto solamente per portare, con sinceritÀ, un contributo alla veritÀ e quindi alla vera unitÀ » e comprensione tra gli abitanti di tutte le regioni nonché ad un'uguaglianza, nel campo economico e so­ciale tra tutti i cittadini italiani.

A Torino erano giunte da tempo le notizie circa la vit­toriosa insurrezione di Milano e arrivarono anche degli inviati ufficiali del Governo provvisorio per invocare l'in­tervento dell'esercito sardo allo scopo di scacciare defini­tivamente gli Austriaci dall'Italia.

Ma erano giunte anche notizie circa i forti contrasti esistenti tra i vari membri del Governo provvisorio per­ché alcuni erano decisamente repubblicani e altri vede­vano invece in Carlo Alberto, non solo il beneficio del suo intervento militare, ma il rappresentante dell'istituto della monarchia da loro preferita alla repubblica.

Per tali ragioni Carlo Alberto esitava a prendere una decisione, e solo dopo le sollecitazioni di altri inviati, il giorno 13 marzo si mosse a capo del proprio esercito.

Le truppe piemontesi si arrestarono a Novara mentre il generale Passalacqua andÃ’ da solo a Milano per since­rarsi personalmente quale era la situazione dal punto di vista politico. Solo il giorno 26 marzo a mezzodÃŒ al comando del generale Bes cinquemila soldati tra fanteria, cavalleria ed otto pezzi di artiglieria entrarono a Milano.

I dirigenti milanesi volevano che le truppe proseguis­sero subito per raggiungere gli Austriaci, che si ritiravano oltre Brescia, ma nonostante le loro insistenze il generale Bes si mosse in direzione di Treviglio solo il giorno 27. I generali piemontesi mancavano di carte topografiche e di qualsiasi studio sui forti di Peschiera e di Verona e, se ciÃ’ non bastasse, la maggior parte dei soldati era sprovvista di cappotti, e gli stessi uomini di prima linea abbisognavano di istruzione, mentre i piÙ anziani (quelli di riserva) non sapevano nemmeno maneggiare il fucile, dato che, quando avevano prestato il loro primo servizio si usavano i fucili a selce e invece dal 1843 erano in uso i fucili a percussione, a loro sconosciuti.

II Re aveva assunto il comando supremo dell'esercito coadiuvato dal ministro della guerra Franzini. Ma le cose procedevano poco bene, come lamentava lo stesso prin­cipe ereditario Vittorio Emanuele, lasciato addietro con una divisione di riserva.

L'avanzata era lenta e difficile e il Casati a Milano il 30 marzo dichiarava che le mosse dell'esercito sardo non riscuotevano la fiducia del Governo provvisorio « veden­do spesso abbandonati gli animosi volontari che pote­vano correre gravi pericoli, non trovando nell'esercito al­leato quell'appoggio e quella pronta assistenza che, dopo le promulgate solenni dichiarazioni, i lombardi avevano il diritto di aspettarsi ».

L'otto aprile i soldati piemontesi si incontrarono col nemico a Goito e combatterono eroicamente; ma, pur­troppo, incominciarono a giungere notizie sconfortanti da Belluno e da Udine rioccupate dalle truppe austria-che, le quali avevano raggiunto il Piave.

A Venezia era stata dichiarata la repubblica nonostante le opposizioni degli emissari del governo di Torino, e a

Milano dove era rimasto il ministro della guerra di Carlo Alberto, generale Franzini, grande era il disaccordo tra questi e il Casati circa il modo di organizzare l'esercito lombardo. Tanto che a un certo punto il Casati scriveva al di Castagneto una vivace missiva dove erano in evi­denza frasi simili a questa: « Una leva meravigliosa di diciottomila uomini ( lombardi ) rischierÀ di andare al dia­volo per merito del generale Franzini; se fosse un au­striaco pazienza, ma È pure una testa italiana ». Mancavano le armi e le divise, di fucili ce ne erano duecentomila a selce che a stento e molto lentamente si potevano trasformare in fucili a percussione.

Sulla fine del mese di aprile, a scaglioni giungevano a Bologna i volontari delo Stato pontificio, i quali, secondo i voti di Pio IX, dovevano limitarsi a salvaguardare i confini dello Stato senza passare il Po. Ma il generale Durando, comandante di tali volontari, mandÃ’ il colon­nello Massimo D'Azeglio da Carlo Alberto per proporre l'avanzata dei suoi volontari e poco dopo raggiunse Tre-viso (29 aprile) e combattÈ a Montebelluna e a Cornuda.

L'esercito sardo al comando del Re Carlo Alberto si era concentrato nei pressi di Verona con lo scopo di im­padronirsi di quelle fortificazioni, ma, nonostante l'indo­mito valore dimostrato dai soldati e dagli ufficiali, l'azio­ne, mancando la concorde esecuzione degli ordini (man­dati ai vari reparti ma ricevuti in ritardo), non ebbe esito felice.

Prima di concludere la narrazione degli avvenimenti militari riguardanti la prima guerra per l'indipendenza, È bene passare ad esaminare nel capitolo seguente il com­portamento dei vari Stati italiani in tale periodo storico e l'atteggiamento delle potenze straniere nei confronti del nostro Paese.



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