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INTERMEZZO
II 1849 ad un esame superficiale puÃ’ apparire come l'anno della sconfitta del movimento risorgimentale. Sconfitto il Regno di Sardegna, sconfitti Lombardia Veneto e Friuli con la rioccupazione di tali terre da parte degli Austriaci; insediate le truppe austriache nei Granducati, nelle Legazioni, in Toscana; ritornato il Papa a Roma, dopo la sconfitta della Repubblica Romana; riunita la Sicilia al Regno di Napoli.
Ma l'idea dell'indipendenza e della libertÀ non era stata sconfitta; le dure prove e i disinganni avevano rafforzato il fervore dei patriotti. Si iniziava cosÌ un decennio di preparazione oscurato ancora da condanne, funestato da tentativi dolorosi e vani di sollevazioni, come quello dovuto a Carlo Pisacane nel 1857, nel quale l'eroico cospiratore con trecento compagni soccombette in un'impresa che, ricca di coraggio e di speranza, falliva per una preparazione non adeguata al grave compito che si prefiggeva.
Ma tale decennio fu anche e soprattutto caratterizzato dall'affermarsi in cospetto dell'Europa di un grande piemontese: Camillo Benso, conte di Cavour, primo ministro del Re di Sardegna.
E per definire ed inquadrare la comparsa di tale grande uomo politico È bene riportare quanto ha scritto G. M. Trevelyan nella sua « Storia d'Inghilterra ».
Dopo aver esaminata la situazione europea nel 1853, quando Inghilterra e Francia si opposero alla minaccia dell'avanzata della politica russa verso Costantinopoli e l'Austria volle rimanere neutrale, Trevelyan cosÃŒ si esprime: « Quando l'Austria si fu rifiutata di unirsi a noi, il conte di Cavour, il piÙ abile uomo di stato europeo, primo ministro del giovane Re Vittorio Emanuele, si mise al posto dell'Austria e mandÃ’ i bersaglieri a fianco della guardia francese e britannica davanti a Sebastopoli.
Il solo uomo, oltre Napoleone III, che sapeva veramente che cosa si facesse in tutto questo affare, era il ministro di quel piccolo stato popolato da cinque milioni di abitanti, che riuscÃŒ a procurare alla guerra di Crimea un carattere e delle conseguenze liberali, le quali non si sarebbero avute di certo se i nostri uomini di stato fossero riusciti nei loro sforzi di persuadere l'Austria all'intervento ».
Elogio migliore non poteva essere fatto a Cavour. Purtroppo per quanto riguarda questo studio, un uomo di cosÌ grande ingegno, di cosÌ grande preparazione politica, conoscitore dei problemi europei come pochi uomini politici potevano vantarsi di conoscere, ignorava per sua stessa esplicita confessione l'Italia centro-meridionale, i suoi abitanti, le sue possibilitÀ economiche, la sua reale situazione politica e sociale, e la cultura di antica data dei suoi intellettuali.
Tale ignoranza era aggravata dal fatto che la cultura della Corte, della nobiltÀ, dei militari di grado elevato e della borghesia del Piemonte era francese; come francese era la lingua usata nelle corrispondenze anche familiari; e il francese scritto e parlato era corretto, mentre la lingua italiana usata nei discorsi e negli atti ufficiali avrebbe avuto bisogno di infinite « risciacquate in Arno » per usare la nota frase di Alessandro Manzoni. Ma oltre a ciÃ’, la lingua francese era ammessa dallo Statuto come lingua che si potesse usare anche alla Camera, e l'uso di tale lingua era talmente comune a Torino, che in vari ambienti dominÃ’ fino al 1860, e solo per iniziativa del giornalista Giovanni Battista Bottero fu reso obbligatorio al Parlamento l'uso della lingua italiana.
Dall'ignoranza per tutto quanto concerneva l'Italia meridionale derivarono l'incomprensione, l'impoverimento e i guai di tutto il territorio dell'ex Regno delle Due Sicilie e dei suoi abitanti. Guai che ebbero inizio fin da quando Garibaldi, meravigliando l'Italia e il mondo intero, in pochi mesi fece l'inaspettato, e in un primo tempo nemmeno desiderato, dono di un cosÌ grande regno alla dinastia sabauda. E la situazione per l'Italia meridionale si aggravÒ ancora di piÙ con l'improvvisa scomparsa del grande Cavour, che se fosse vissuto, avrebbe con la sua intelligenza afferrate le situazioni, modificati i giudizi, corretti gli errori. Ma i suoi successori, immediati o non immediati, di statura politica ed intellettuale molto diversa, perseverarono nella strada sbagliata, creando una situazione veramente deprecabile, tanto che dopo cento anni di cosiddetta UnitÀ, esiste ancora un problema meridionale da risolvere.
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