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LA GUERRA DI CRIMEA E LA GUERRA DEL 1859

Storia



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LA GUERRA DI CRIMEA E LA GUERRA DEL 1859

La Russia dello Zar Nicola, come da una lettera dello stesso Zar scritta nel 1851, era convinta di aver preso il posto della Francia di Napoleone I, come arbitra nell'Eu­ropea continentale, e quindi di poter dettare legge a tutti gli Stati europei.

Forte di tale convinzione lo Zar Nicola iniziÃ’ un'azione politica contro la Turchia, proponendo all'Inghilterra una spartizione dei territori turchi in modo da riservare alla Russia i Principati danubiani, la Serbia e una costituenda Bulgaria, e offrendo all'Inghilterra l'Egitto e l'isola di Creta. Per invogliare l'Inghilterra ad accettare tale pro­gramma, le faceva presente che la Francia mirava ad oc­cupare Tunisi per rafforzarsi nel Mediterraneo. Ma l'In­ghilterra non approvÃ’ il programma dello Zar, dato che il rafforzarsi della Russia nel Mediterraneo orientale era contrario agli interessi inglesi. Allora lo Zar, visti falliti i suoi accordi con l'Inghil­terra, mandÃ’ una specie di ultimatum al Sultano turco, al quale, sotto il pretesto di essere il protettore di tutti gli ortodossi, proponeva un vero e proprio protettorato russo sulla Turchia.



Tale iniziativa ebbe l'effetto di mettere d'accordo Francia ed Inghilterra onde impedire l'espandersi della potenza russa, sia per mantenere lo « status quo » nel Mediter­raneo, sia per altri interessi particolari delle due Potenze.

Infatti la Francia voleva tutelare la propria posizione politico-religiosa in Siria e nei Luoghi Santi; l'Inghilterra voleva salvaguardare dall'influenza della Russia le regioni attraverso le quali si svolgevano le comunicazioni tra il Mediterraneo il Mar Rosso e l'Oceano Indiano.

Rassicurato dall'appoggio franco-britannico, il Sultano respinse le proposte, e in conseguenza l'esercito dello Zar entrava nei territori dei principati danubiani mentre una squadra anglo-francese si portava all'entrata dei Dardanelli, pronta ad accorrere in difesa di Costantinopoli.

Un disperato tentativo di mediazione fatto dall'Austria ritardÃ’ gli avvenimenti bellici, ma la guerra scoppiÃ’ nel 1853 tra Russia e Turchia, e le Potenze occidentali ini­ziarono la loro azione nella primavera del 1854.

Nel gennaio 1855 il governo sardo stringeva alleanza con l'Inghilterra e con la Francia a sostegno della Turchia. L'Austria, ambigua nei confronti russi e prudente nei confronti del conflitto, rimase neutrale e il piccolo Pie­monte sostituÃŒ l'Austria nella difesa degli interessi medi­terranei nei confronti della Russia.

È doveroso, dovendo parlare di tale periodo storico, riprodurre un brano del discorso tenuto da Cavour al Parlamento subalpino: « Prima di tutto, o Signori, il Go­verno ebbe ad esaminare se la guerra che si combatteva in Oriente interessasse realmente lo Stato nostro; real­mente per noi vi fosse interesse materiale, interesse po­litico, a prendere parte in essa, a concorrere allo scopo che si proponevano le Potenze occidentali ».

« Noi non abbiamo avuto molte difficoltÀ a convincerci che la Sardegna era altamente interessata allo scopo di questa guerra. Difatti, o Signori, se la presente guerra avesse esito felice per la Russia, se avesse per conseguenza di condurre le aquile vittoriose dello Zar in Costantinopoli, evidentemente la Russia acquisterebbe un predominio assoluto sul Mediterraneo ed una preponde­ranza irresistibile nei consigli d'Europa. Ebbene, o Si­gnori, sia l'una che l'altra conseguenza non possono a meno che reputarsi altamente fatali agli interessi del Pie­monte e dell'Italia. Infatti, quando la Russia fosse pa­drona di Costantinopoli, lo sarebbe altresÃŒ del Mediter­raneo, poiché diventerebbe dominatrice assoluta del piÙ grande mare realmente mediterraneo che esiste sul globo, cioÈ del Mar Nero ». « II Mar Nero diventerebbe allora veramente un lago russo, e quando questo gran lago fosse nelle mani di una Nazione che conta 70 milioni di abitanti diventerebbe in poco tempo il piÙ grande arsenale marittimo del mondo, un arsenale al quale non potrebbero forse resistere tutte le altre Potenze marittime. Il Mar Nero fatto russo mediante la chiusura del Bosforo, le chiavi del quale sarebbero date in mano all'autocrate, diventerebbe in certo modo la rada di Sebastopoli, allargata con proporzioni gigantesche ».

Il Parlamento e l'opinione pubblica, tra contrasti note­voli, approvarono l'alleanza del Piemonte con la Francia e l'Inghilterra (conclusa a paritÀ di condizioni) e il 28 aprile del 1855, agli ordini del generale Alfonso La Mar-mora, partirono da Genova 15.000 soldati, piÙ un reggi­mento di cavalleria e 36 cannoni. I soldati, e in modo speciale i bersaglieri, si distinsero nella battaglia della Cernaia del 16 agosto e all'assedio di Sebastopoli l'8 set­tembre, mentre colpito da colera moriva il generale Ales­sandro La Marmora, creatore del corpo dei bersaglieri e fratello del comandante del corpo di spedizione. Caduta Sebastopoli, fu conclusa la pace e i rappresentan­ti di tutte le potenze europee, comprese Cavour in rappre­sentanza del Piemonte, si riunirono al Congresso di Parigi.

Con la sconfitta, la Russia veniva privata di ogni possibilitÀ offensiva, perché nel campo terrestre venivano sot­tratti al di lei protettorato i Principati danubiani, e nel campo marittimo veniva ribadita la chiusura degli stretti e proclama la neutralizzazione del Mar Nero; ossia ve­niva vietato alla Russia di avere in quel mare piazzeforti e navi da guerra.

La Russia rimase molto amareggiata dal contegno te­nuto dall'Austria durante il conflitto e non nascose pro­positi di vendetta. L'Inghilterra riuscÃŒ trionfante come potenza marinara e per la Francia i vantaggi materiali consistettero nella presa di possesso della Savoia e di Nizza maturatasi nel 1860. Riflettendo oggi sopra quest'ultima clausola dell'accordo Cavour-Napoleone, dobbiamo riconoscere che il cosiddetto «liberalismo» di quei tempi, tanto esaltato da un uomo di genio come Cavour, era in effetti ben misera cosa.

Infatti la cessione di due provincie e di due capoluoghi di regioni quali Chambery e Nizza, come beni considerati solamente materiali, facendo completa astrazione dai sen­timenti di quelle popolazioni, oggi appare come cosa in­concepibile e certamente anche ignobile. Si pensi poi che i Nizzardi erano i compatriotti di Garibaldi e del grande giornalista Bottero il fondatore della « Gazzetta del Po­polo », quotidiano di benemerenze storiche e patriottiche insuperate da allora.

È quindi vero come a questo mondo tutto sia relativo, e quello che al grande «liberale» Cavour sembrava cosa fattibile e saggia, oggi la si potrebbe considerare sempli­cemente obbrobriosa.

A PlombiÈres si incontrarono Napoleone III e Cavour e in tale incontro fu deciso l'intervento della Francia in una eventuale guerra tra Regno di Sardegna ed Austria, purché la guerra fosse dichiarata dall'impero absburgico. L'accordo, come risulta da una lettera scritta da Cavour a Vittorio Emanuele II, doveva portare ad un nuovo assetto della penisola italiana sotto la forma di una Con­federazione presieduta dal Papa, e composta da quattro Stati: uno Stato sabaudo, esteso dal Tirreno all'Adriatico e in tutta la pianura padana; uno Stato dell'Italia cen­trale; un dominio pontificio limitato al Lazio; un Regno dell'Italia meridionale; cessione di Nizza e della Savoia da parte del Piemonte.

Venne inoltre contemplata l'eventualitÀ di un cambia­mento di dinastia a Napoli e a Firenze; l'imperatore pro­pose la condidatura del Principe Murat per Napoli e ac­colse con favore la candidatura proposta da Cavour per Firenze nella persona della Duchessa di Parma, che appar­teneva alla famiglia dei Borboni e che negli ultimi anni aveva accennato a staccarsi dalla soggezione austriaca e ad avvicinarsi alla Francia. Ma accanto a questa candi­datura borbonica per Firenze, Napoleone ne vagheggiava un'altra: quella del cugino Girolamo destinato a sposare la figlia di Vittorio Emanuele. Ad ogni modo, borbonica o napoleonica, la dinastia de­stinata nell'Italia centrale doveva essere legata alla Fran­cia, perché « in mano ad un principe francese garanti­rebbe, con le isole e con la flotta, l'Algeria, terrebbe in rispetto l'Egitto e darebbe alla Francia la supremazia del Mediterraneo ».

Lo scopo napoleonico era quello di eliminare l'Austria (sostituendola con la Francia) favorendo in Italia il principio di nazionalitÀ, il quale principio non si iden­tificava affatto col principio di UnitÀ, essendo questo principio sostenuto solo da Mazzini e dai Mazziniani, co­me Garibaldi o come Manin. E Manin, come giÀ si È precedentemente ricordato, era stato giudicato da Cavour quale « utopista che vuole l'UnitÀ d'Italia ed altre corbel­lerie», opinione nuovamente espressa dallo Statista pie­montese in una lettera dell'aprile 1856 diretta a Rattazzi.

In conclusione, con tutto il rispetto dovuto all'abilitÀ politica di Cavour, nell'accordo da lui concluso con Na­poleone III si era ancora legati all'ignobile principio del cosiddetto «mercato delle vacche»; ossia si disponeva tra i capi di due Stati quale Governo e quali regnanti dare alle popolazioni senza naturalmente preoccuparsi di inter­pellarle, quasi fossero non gente umana, ma armenti dei quali si potesse disporre liberamente assegnandoli ad un nuovo proprietario, scelto secondo gli interessi politici del momento. Naturalmente, il piano di PlombiÈres doveva rimanere segreto poiché, una volta conosciuto, avrebbe suscitato una forte reazione da parte dell'Inghilterra.

Tra Francia e Russia intanto stava avvenendo un certo riavvicinamento politico in conseguenza degli interessi francesi e russi concordanti nella loro politica contra­stante con quella inglese e con quella austriaca; e il prin­cipe Gerolamo Napoleone mandato in Russia dal cugino Napoleone III aveva ottenuto l'impegno russo di una neutralitÀ benevola in caso di conflitto franco-austriaco, e addirittura la proposta di un matrimonio tra una Gran­duchessa russa e Vittorio Emanuele; matrimonio andato a monte per la recisa opposizione dello stesso Re di Sardegna.

Silvio Spaventa, patriota napoletano, recatosi a Londra all'inizio del 1859, con altri amnistiati dal Governo napo­letano, scriveva al fratello che « in Inghilterra la preoc­cupazione maggiore era data dai trattati che si dicevano stipulati tra Francia e Russia e che agli Inglesi, sia Na­poli che il Piemonte, non interessavano affatto, ma che il loro interesse era solo la potenza e la sicurezza dell'Inghilterra ».

Nello stesso tempo Cavour scriveva all'ambasciatore sardo a Londra, Emanuele d'Azeglio, e scriveva come sua abitudine, in lingua francese: «che il rappresentante in­glese a Torino, Lord Malmasbury, dice che gli Inglesi si interessano molto dell'Italia e del Piemonte, ma che non possono occuparsi degli interessi italiani, dato che a loro preme di avere buoni rapporti con l'Austria che È consi­derata come la sola spada che possa minacciare la Russia».

Al Parlamento inglese tanto il Palmerston che Russel parlarono contro un'eventuale guerra tra Francia e Au­stria, decisi a voler mantenere lo « status quo » in Italia in antitesi assoluta con l'azione francese. Del resto Ca-vour parlando alla Camera il 9 febbraio del 1859, con franchezza pari al suo acume, non si peritÃ’ di illustrare le cause dell'avversione inglese alla guerra, mettendo in evidenza il riavvicinamento dell'Inghilterra all'Austria dopo il 1856, l'interesse inglese a sostenere l'Austria, e la regola inglese di posporre ogni altra considerazione all'interesse britannico.

L'Austria, che da lungo tempo era a conoscenza come da tutte le parti d'Italia accorressero a Torino volontari pronti a partecipare ad una eventuale guerra e convinta anche che il Piemonte si stava armando, inviÃ’ a Vittorio Emanuele II due rappresentanti di Francesco Giuseppe latori di un ultimatum: o disarmo immediato o guerra inevitabile. Era quello che Cavour attendeva; Napoleo­ne III non poteva sottrarsi all'obbligo assunto verso l'alleato e la risposta all'Austria non poteva essere dubbia. L'esercito piemontese, composto di 60.000 soldati, il 14 maggio si riuniva ad Alessandria con l'armata napo­leonica forte di 120.000 francesi. I primi a scontrarsi col nemico furono i « cacciatori delle Alpi » in numero di 3000, comandati dal generale Garibaldi il quale dispo­neva anche di due battaglioni di bersaglieri e aveva alle sue dipendenza uomini di grande valore militare quali Co-senz, Medici, Bixio e TÙrr. Conquistate Varese e Corno, in poco tempo si rendeva padrone di tutta la Valtellina. L'accordo tra Cavour e Napoleone era stato ben chia­ro: la conquista della Lombardia e di tutto il Veneto. Ma l'8 luglio, dopo le esaltanti vittorie di Solferino (fran­cese) e di San Martino (italiana) giungeva l'inaspettata notizia della firma dell'armistizio di Villafranca stipulato tra Napoleone e l'Imperatore austriaco.

Profondo fu il dolore in tutta Italia. Cavour, indi­gnato, dopo un colloquio con Vittorio Emanuele dette le dimissioni vedendo mal conclusa una guerra da lui auspicata, studiata e voluta, durante lunghi anni di la­voro e di ansie, e dall'esito della quale era sicuro di ottenere la conquista della Lombardia e di tutto il Ve­neto fino a confini naturali ad oriente.

Garibaldi, che non aveva la cultura di Cavour, che non era un sottile diplomatico, ma che giudicava gli avveni­menti col cuore e col suo intuito misto di buon senso popolano e di poesia viva ed eroica, scrisse poi: « la pace di Villafranca che molti tennero quale calamitÀ ed io invece come una fortuna ».

E Garibaldi ebbe, a differenza di Cavour, la giusta vi­sione di quello che conveniva alla causa nazionale. Egli mirava non soltanto a Venezia, ma anche all'Italia cen­trale, a Roma, alle Due Sicilie; a quell'UnitÀ insomma che non era ancora nel programma di Cavour e di altri uomini di Stato piemontesi. Tutto ben ponderato Gari­baldi vedeva che la liberazione di Venezia con l'aiuto dei Francesi avrebbe sÃŒ realizzato un sogno dei patriotti lom­bardi e veneti, ma avrebbe ingigantito il prestigio di Na­poleone III, e consolidato il predominio francese in Italia. Il che significava: intangibilitÀ del potere tempo­rale e impossibilitÀ di raggiungere l'UnitÀ italiana, che Napoleone III assolutamente non voleva. PerciÃ’ Gari­baldi che non era mai stato entusiasta dell'alleanza con l'Imperatore dei Francesi, ritenne la defezione del Terzo Napoleone una grande fortuna per l'Italia, la quale in tal modo riacquistava la sua libertÀ d'azione.

E i fatti gli diedero ragione.



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