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Le neoplasie sono masse anomale di tessuto la cui crescita eccessiva è scoordinata rispetto a quella del tessuto normale e persiste nella sua eccessività anche dopo la cessazione degli stimoli che l’hanno prodotta. Essa è virtualmente autonoma; competono comunque con le cellule sane sia per l’approvvigionamento energetiche che nutritivo. Per cancro si intendono i tumori maligni.
Tutti i tumori, benigni e maligni sono costituiti da due componenti:
Le cellule neoplastiche proliferanti, che costituiscono il parenchima
Lo stroma di supporto, costituito da tessuto connettivo e da vasi sanguigni.
Sebbene le cellule parenchimali costituiscano il tumore stesso, la crescita e l’evoluzione di questo dipende dallo stroma. Lo stroma, infatti, fornisce l’apporto sanguigno e l’impalcatura necessaria per la crescita delle cellule. In alcuni tumori lo stroma è scarso e la neoplasia risulta soffice e carnosa. Alcune cellule parenchimali sviluppano un abbondante stroma ricco di collagene, causando la formazione di desmoplasie; questi tumori come per esempio il cancro alla mammella sono duri.
Per designare i tumori benigni delle cellule mesenchimali, si aggiunge il suffisso “-oma” al tipo di cellula dal quale ha avuto inizio il tumore. Ad esempio un tumore benigno che si origina dai fibroblasti è detto fibroma, un tumore cartilagineo è detto condrioma, mentre un tumore osseo è detto osteoma.
La terminologia dei tumori benigni d’origine epiteliale è più complessa. Essi sono classificati secondo i casi: in base alla cellula d’origine, all’architettura microscopica o all’aspetto macroscopico.
Adenoma è un termine applicato alle neoplasie epiteliali benigne che formano aspetti ghiandolari, così come neoplasie derivati da tessuti ghiandolari che però non mostrano un aspetto ghiandolare. Per cui l’adenoma può essere sia una neoplasia che deriva da cellule dei tubuli renali che si sviluppa con aspetto ghiandolare, sia una massa eterogenea di cellule della corteccia surrenale che cresce senza un aspetto distintivo.
Le neoplasie benigne che formano un tessuto dall’aspetto digitiforme o verrucoide visibile sia microscopicamente che microscopicamente sono detti papillomi, mentre quelli che formano grosse masse cistiche in organi quali l’ovaio vengono chiamati cistoadenomi. Alcuni tumori producono formazioni papillifere che protrudono negli spazi cistici e sono quindi chiamati cistoadenomi papilliferi.
Quando una neoplasia benigna o maligna produce un’escrescenza visibile microscopicamente su una superficie mucosa e protrude nel lume di organi cavi, come lo stomaco, l’escrescenza prende il nome di polipo; il termine polipo viene dato ad un tumore benigno, mentre per i tumori maligni si usa il termine di cancro polipoide.
La terminologia dei tumori maligni segue quella dei tumori benigni con alcune aggiunte. I tumori maligni che insorgono nei tessuti mesenchimali (tessuto connettivo embrionale dal quale derivano i tessuti connettivi adulti: osseo, adiposo, muscolare, liscio, liquidi circolanti) sono comunemente chiamati sarcomi, perché presentano una scarsa componente stromale e hanno consistenza carnosa. Esempi sono il fibrosarcoma, il liposarcoma.
Le neoplasie maligne che derivano da ciascuno dei tre strati germinativi sono detti carcinomi. Pertanto i cancri che insorgono nella pelle (di origine ectodermica) sono detti carcinomi come quelli che insorgono nelle cellule dei tubuli renali (di derivazione mesodermica) e come quelle del tratto gastrointestinale (di derivazione endodermica).
I carcinomi possono essere identificati come adenocarcinomi se presentano un aspetto microscopico di tipo ghiandolare o come carcinomi a cellule squamose se presentano cellule di tipo squamoso derivanti da un qualsiasi epitelio pavimentoso stratificato dell’organismo.
Nella maggior parte dei casi i tumori, sia di origine benigna che di origine maligna, derivano tutti da una singola cellula e mostrano, infatti, cellule parenchimali molto simili tra loro. In casi piuttosto rari si osservano tumori misti, il cui esempio migliore è rappresentato dai tumori misti delle ghiandole salivari.
Queste neoplasie sono caratterizzate dalla presenza di diverse componenti epiteliali disseminate all’interno di uno stroma mixoide che talvolta contiene isole di tessuto cartilagineo e persino osseo. Si ritiene che questi elementi derivino dalle cellule epiteliali o mioepiteliali delle ghiandole salivari e pertanto vengono detti adenomi pleomorfi. La grande maggioranza delle neoplasie, inclusi i tumori misti, sono costituite da cellule rappresentative di un singolo foglietto germinativo.
I teratomi al contrario sono composti da diversi tipi di cellule parenchimali rappresentative di più foglietti germinativi e comunemente di tutti e tre. Essi derivano da cellule totipotenti e pertanto si osservano frequentemente nelle gonadi. Queste cellule totipotenti si differenziano seguendo diverse linee germinative dando origine a cute, grasso, ossa. Nel teratoma cistico dell’ovaio si osserva un tumore cistico tappezzato da epitelio pavimentoso stratificato con peli, ghiandole sebacee e strutture dentarie.
I melanomi o più correttamente melanocarcinomi sono i tumori dei melanociti. I carcinomi di origine testicolare sono chiamati seminomi.
Un amartoma è una massa di cellule specializzate, disorganizzate, ma mature causate da un differenziamento anomalo. Si può quindi avere un amartoma polmonare con tessuto cartilagineo, vasi sanguigni, strutture simili ai bronchi. Queste masse sono comunque di origine benigna.
Il termine di seminoma definisce una forma di carcinoma che tende a diffondere nei linfonodi disposti lungo l’arteria iliaca e l’aorta. Questi tumori sono sensibili alla radioterapia e possono essere facilmente eliminati.
Nella maggior parte di casi è possibile distinguere un tumore benigno da uno maligno. Alcune volte invece questa distinzione è difficile; alcuni tumori infatti possono presentare un aspetto innocuo, benigno, ma un comportamento biologico maligno. Esistono comunque dei criteri che permettono di definire un tumore benigno o uno maligno:
a) Differenziamento e anaplasia
b) Velocità di accrescimento
c) Invasività locale
d) Metastasi
I termini differenziamento e anaplasia sono riferiti alle cellule parenchimali della neoplasia. Il differenziamento indica il livello di similitudine tra la cellula tumorale e la cellula sana. Una massa di cellule tumorali si definisce benigna quando all’esame non si nota differenza tra la massa tumorale e le cellule normali, ovvero quando il tessuto neoplastico presenta una similitudine nello sviluppo con la cellula normale. In questo caso il tumore è ben differenziato. Quando il tumore è scarsamente differenziato o indiffenziato vuol dire che è costituito da cellule immature o non differenziate.
I tumori maligni possono essere sia di tipo differenziato, che di tipo indifferenziato. Le neoplasie maligne costituite da cellule indifferenziate sono definite anaplastiche e la mancanza di differenziamento o anaplasia rappresenta un indice di trasformazione maligna. Il termine anaplasia indica la trasformazione di un tumore che passa da un’organizzazione del proprio tessuto da una forma differenziata ad un’organizzazione in una forma indifferenziata. Ci sono prove che dimostrano che le cellule maligne derivino dalle cellule staminali presenti in tutti i tessuti specializzati.
Il mancato differenziamento o anaplasia è caratterizzato da una serie di modificazioni morfologiche e funzionali. Sia le cellule che i loro nuclei mostrano un pleomorfismo, cioè una variazione di forma e dimensioni. Si possono trovare cellule o enormemente grandi o estremamente piccole, ma tutte presentano un nucleo con un eccesso di DNA estremamente scuro. Il nucleo è estremamente grande in confronto al normale. Si ha un aumento del numero delle mitosi nel tessuto.
Esistono delle cellule tumorali giganti alcune delle quali sono caratterizzate da un solo nucleo, altre da più nuclei.
L’orientamento delle cellule anaplastiche risulta spesso decisamente alterato (per esempio perdono la normale polarità). Spesso si formano cordoni di cellule tumorali che richiedono un grosso apporto ematico, pur avendo uno stroma non sufficiente allo scopo: questo porta alla necrosi ischemica.
La displasia si riscontra principalmente negli epiteli ed è caratterizzata da una varietà di modificazioni che comprendono la perdita di uniformità dell’aspetto delle singole cellule e del loro orientamento nell’architettura del tessuto. Le cellule displastiche mostrano pleomorfismo e spesso hanno nuclei altamente colorati e voluminosi.
Nella displasia le mitosi coinvolgono tutte le cellule a tutti i livelli causando una disorganizzazione nel tessuto.
Quando la displasia è marcata e coinvolge l’intero spessore dell’epitelio, la lesione viene considerata come una forma di neoplasia pre-invasiva, definita carcinoma in situ. Questo può evolvere in carcinoma, ma a volte modificazioni lievi che non coinvolgono tutto lo spessore dell’epitelio possono non causare carcinoma.
I tumori ben differenziati delle ghiandole endocrine spesso elaborano gli ormoni caratteristici delle rispettive cellule d’origine: le cellule di derivazione epidermica possono produrre cheratina.
Altre volte però le cellule tumorali possono produrre ormoni in un organo che normalmente non ne produce
Per esempio un tumore ai polmoni potrebbe provocare la sintesi di insulina e glucagone.
Comunque tanto più rapida è la crescita di un tumore e maggiore è il suo grado di anaplasia, meno queste cellule manterranno una funzione specializzata.
In generale la maggior parte dei tumori benigni cresce lentamente nell’arco di diversi anni, mentre la maggior parte dei tumori maligni cresce rapidamente, a volte con andamento variabile, fino a disseminarsi nell’organismo e uccidere l’ospite. La velocità di crescita non è un fattore costante, infatti fattori come la dipendenza ormonale, l’adeguatezza dell’apporto sanguigno e probabilmente altre variabili possono influire sulla crescita dei tumori.
In generale la velocità di accrescimento dei tumori è correlata al loro livello di differenziamento per cui la maggior parte dei tumori maligni cresce più rapidamente di quanto non facciano i tumori benigni.
Il comportamento di ogni singola neoplasia può essere variabile; alcuni tumori maligni possono rimanere quiescenti per anni ed esplodere in metastasi nel giro di pochi mesi, oppure regredire fino a scomparire completamente.
Quasi tutti i tumori benigni si accrescono come masse ben definite e rimangono localizzate nel sito di origine e non hanno la capacità di invadere altri tessuti. Crescendo i tumori benigni sviluppano una capsula fibrosa di tessuto connettivale che li separa dal resto del corpo. Questa capsula deriva principalmente dallo stroma del tessuto d’origine e dall’atrofia delle cellule del parenchima prodotta dalla pressione del tumore in espansione. Questa capsula permette in alcuni casi l’asportazione chirurgica del tumore. Non tutti i tumori benigni possiedono questa capsula: nel caso di emangiomi (neoplasie composte da un groviglio di vasi sanguigni) spesso non sono dotati di capsula e possono dare l’impressione di infiltrare la sede d’insorgenza.
La crescita di neoplasie maligne si accompagna ad una progressiva infiltrazione, invasione e distruzione del tessuto circostante. In generale queste neoplasie non sono ben separate dal tessuto circostante. Comunque anche alcuni tumori maligni possono sviluppare una capsula fibrosa che li ingloba e che può comprimere le strutture circostanti. La maggior parte dei tumori maligni, pur presentando questa capsula sono difficilmente asportabili chirurgicamente, poiché presentano sempre estrusioni nel tessuto sano e infatti, nel caso di asportazioni chirurgiche si rimuove sempre una grossa fetta di tessuto sano attorno al tumore. Dopo la capacità di dare metastasi, l’invasività è la più tipica delle caratteristiche che differenziano i tumori maligni da quelli benigni. I carcinomi in situ sono dei pro-tumori maligni in cui non è evidenziata l’invasività. Col tempo però questi tumori penetrano la membrana basale e invadono lo stroma sottoepiteliale.
Le metastasi sono impianti tumorali discontinui rispetto al tumore primario. Esse identificano inequivocabilmente un tumore come maligno, in quanto le neoplasie benigne non danno metastasi. La capacità invasiva delle neoplasie maligne consente loro di penetrare all’interno dei vasi sanguigni, dei linfatici e nelle cavità del corpo e quindi disseminarsi nell’organismo. Con poche eccezioni tutti i cancri possono metastatizzare; un esempio è dato dai gliomi, neoplasie maligne delle cellule gliali del sistema nervoso centrale, che sono altamente invasive, ma raramente metastatizzano. Invasività e capacità di dare metastasi sono due caratteristiche indipendenti.
In generale più un tumore è aggressivo, cresce velocemente e presenta elevate dimensioni, più è probabile che metastatizzi. Circa il 30% dei pazienti cui viene diagnosticato per la prima volta un tumore solido maligno (ad eccezione dei melanomi) presenta metastasi.
La disseminazione delle neoplasie maligne può avvenire attraverso tre diverse vie:
Impianto diretto in cavità e superfici dell’organismo
Disseminazione per via linfatica
Disseminazione per via ematica
IMPIANTO DIRETTO IN CAVITÀ E SUPERFICI DELL’ORGANISMO
L’impianto diretto in cavità o su superfici del corpo può verificarsi ogni volta che una neoplasia maligna penetri in uno spazio aperto naturale. La cavità peritoneale è quella che risulta più frequentemente interessata, ma ogni cavità può essere interessata. Le cellule tumorali possono ricoprire i visceri addominali rimanendo confinati nella superficie, senza penetrare al loro interno. Talvolta carcinomi ovarici e dell’appendice secernenti mucina riempiono la cavità peritoneale con una massa neoplastica gelatinosa che viene definita pseudomixoma del peritoneo.
DISSEMINAZIONE PER VIA LINFATICA
Il trasporto di cellule tumorali attraverso i vasi linfatici rappresenta la modalità di disseminazione iniziale più frequente dei carcinomi, ma anche i sarcomi possono utilizzare la stessa via, in quanto il sistema vascolare e il sistema linfatico sono strettamente collegati. La disseminazione delle metastasi ai linfonodi segue le vie naturali del drenaggio linfatico. I linfonodi locali possono essere scavalcati (metastasi “a salto”) per la presenza di anastomosi linfatico-venose o per un’ostruzione dei vasi linfatici conseguente ai processi infiammatori o ad alterazioni indotte da radiazioni. In molti casi i linfonodi regionali costituiscono una barriera, che almeno per un certo periodo di tempo ostacola efficacemente la disseminazione del tumore. È presumibile che le cellule tumorali, dopo essersi arrestate a livello dei linfonodi vengano distrutte ad opera di una risposta immunitaria tumore-specifica. Anche il drenaggio di frammenti di cellule tumorali distrutte o di antigeni tumorali o di entrambi, può indurre modificazioni di tipo reattivo all’interno dei linfonodi. Pertanto un ingrossamento dei linfonodi non indica una disseminazione del tumore.
DISSEMINAZIONE PER VIA EMATICA
La disseminazione per via ematica è tipica dei sarcomi, ma può essere seguita anche dai carcinomi. Le arterie con le loro pareti spesse vengono penetrate più difficilmente delle vene. Questa disseminazione è possibile quando le cellule tumorali passano attraverso il letto capillare o nelle anastomosi artero-venose polmonari.
Quando cellule neoplastiche invadono le vene, esse vengono trasportate col sangue ai distretti di raccolta del sangue venoso, ovvero fegato e polmoni. Infatti tutto il sangue refluo dell’area portale giunge al fegato, mentre il sangue refluo delle vene giugulari arriva ai polmoni.
Alcune neoplasie maligne hanno una propensione all’invasione venosa. I carcinomi renali spesso invadono i rami della vena renale e quindi il tronco della vena renale stessa, crescendo come un serpente fino alla vena cava inferiore, dalla quale talvolta raggiungono la parte destra del cuore. Gli epatocarcinomi spesso si infiltrano nei rami della vena porta e della vena epatica e si accrescono al loro interno fino a raggiungere i vasi venosi maggiori. La presenza di cellule tumorali nei vasi è un fenomeno preoccupante anche se non in tutti i casi si ha metastatizzazione.
I tessuti sono organizzati in una serie di compartimenti separati da tue tipi di matrice extracellulare: la membrana basale ed il tessuto connettivo interstiziale. Entrambe le componenti di questa matrice sono composte da collagene, glicoproteine e proteoglicani. Un carcinoma che si espande attraversa vari stadi che formano una cascata. L’invasione dei tessuti può essere schematizzato così:
La cellula trasformata produce cloni tumorali. Una cellula proveniente da questi cloni si stacca dalle altre cellule.
La cellula tumorale si lega alla matrice extracellulare
Si ha degradazione della matrice extracellulare
Si ha la migrazione delle cellule tumorali nei vasi, con spesso formazione di embolo costituito da cellule tumorali espanse e piastrine
Adesione alla membrana basale interna del vaso
Uscita dal vaso e formazione di metastasi con angiogenesi e crescita tumorale.
Le cellule epiteliali normali sono legate tra di loro mediante diversi tipi di molecole di adesione: tra queste molto importanti sono le caderine E una famiglia di glicoproteine transmembrana. Le caderine E legano tra loro le cellule epiteliali, mantenendole unite. Nei tumori epiteliali, compresi quelli del colon e della mammella, si ha una diminuita espressione delle caderine E, che quindi facilita il distacco delle cellule tumorali dal clone tumorale e il loro avanzamento nel tessuto circostante. Le caderine E sono legate al citoscheletro da una famiglia di proteine dette catenine, localizzate sotto la membrana plasmatica. La funzionalità delle caderine E è dipendente dal legame con le catenine. In alcuni tumori le caderine E sono normali, ma la sua espressione è ridotta a causa di una mutazione delle catenine.
Per penetrare la matrice extracellulare circostante le cellule tumorali devono prima aderire alle componenti della matrice stessa come laminina e fibronectina. Le cellule epiteliali normali esprimono recettori con elevata affinità per la laminina della membrana basale, che sono localizzati sul polo cellulare rivolto verso la membrana basale. Le cellule tumorali hanno un numero molto elevato di recettori che risultano essere distribuiti tutto attorno alla membrana cellulare. Oltre ai recettori specifici per la laminina, le cellule tumorali esprimono anche integrine che fungono da recettori per diverse componenti della matrice extracellulare tra cui fibronectina, laminina e collagene. Nei melanomi si è dimostrata una correlazione tra l’espressione di certe integrine sulle cellule neoplastiche e la loro capacità di produrre metastasi.
Dopo l’attacco alle membrane extracellulari le cellule tumorali devono penetrare nella matrice stessa. Le cellule tumorali secernono enzimi proteolitici o inducono le cellule dell’ospite (quali ad esempio i fibroblasti stremali ed i macrofagi che infiltrano il tumore) ad elaborare le proteasi. L’attività delle proteasi è regolata dalle antiproteasi. Nei tumori il rapporto tra proteasi e antiproteasi è spostato verso le proteasi.
Sono state individuate tre classi di proteasi: le proteasi seriniche, le proteasi cisteiniche e le metalloproteinasi della matrice (MMP). La collagenasi di tipo IV è una MMP che scinde il collagene di tipo IV delle membrane basali epiteliali e vascolari. È stato notato che molti carcinomi invasivi, al contrario d quelli in situ, contengono alti livelli di collagenasi di tipo IV, mentre i carcinomi in situ contengono poca collagenasi; inoltre è stato mostrato che in tumori virus-indotti, un’alta percentuale di inibitori delle metalloproteinasi riducono fortemente il numero di metastasi.
La catepsina D e l’attivatore del plasminogeno di tipo uro-chinasi (due proteasi) sono importanti nella degradazione della matrice. Questi enzimi agiscono su molti substrati tra cui la fibronectina, la laminina e il core proteico dei proteoglicani. I pazienti con elevata quantitativo di catepsina D sviluppano tumori più invasivi.
La migrazione delle cellule è il passaggio successivo. La migrazione è mediata da due categorie di molecole: 1) fattori di motilità derivati dalle cellule tumorali, 2) prodotti che derivano dalla degradazione dei componenti della matrice (es. il collagene e la laminina).
Il primo gruppo comprende il fattore della motilità e la timosina β15; l’aumento della β15 causa una metastatizzazione maggiore. Un altro fattore di motilità, chiamato fattore di crescita degli epatociti è stato identificato nella matrice di cellule tumorali; il protooncogene met codifica per i recettori dei fattori di crescita degli epatociti. Inoltre i prodotti derivati dalla degradazione del collagene e dei proteoglicani della matrice extracellulare hanno attività promovente la crescita, attività angiogenetica e chemiotattica. Questa potrebbe favorire la migrazione delle cellule tumorali all’interno della matrice extracellulare degradata.
Disseminazione vascolare ed impianto delle cellule tumorali
Le cellule natural killer sono importanti nel bloccare l’avanzata dei tumori. In circolo le cellule tumorali tendono ad aggregarsi in gruppi. Questo fenomeno è favorito dal fatto che le cellule tumorali tendono ad aggregarsi tra loro e ad aggregarsi anche alle piastrine. L’aggregazione alle piastrine sembra aumentare la sopravvivenza dei tumori. I tumori tendono a formare emboli e legarsi alla parete vasale, sempre tramite molecole di adesione, come integrine e recettori della laminina. Una molecola di adesione chiamata CD44 è espressa dai linfociti normali ed è utilizzata da queste cellule per migrare in siti specifici del tessuto linfatico. La migrazione termina quando la CD44 si lega all’acido ialuronico delle venule ad endotelio alto. Successivamente le cellule tumorali tendono ad uscire dai vasi e alcuni di essi formano metastasi in organi preferenziali. Ad esempio il carcinoma della prostata diffonde preferenzialmente all’osso, i carcinomi broncogeni tendono a coinvolgere le ghiandole surrenali e il cervello. Questo tropismo d’organo può essere riferito al fatto che: 1) le cellule tumorali per uscire dall’endotelio necessitano di molecole di adesione i cui ligandi sono espressi sulle cellule endoteliali degli organi bersaglio. 2) alcuni organi bersaglio producono fattori di crescita insulino-simili che reclutano le cellule tumorali. 3) in alcuni casi il tessuto bersaglio può risultare inospitale per la crescita di cellule tumorali metastatiche, ad esempio producendo proteasi che inibiscono l’impianto di una colonia tumorale.
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