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Antonio Pedrocchi

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Antonio Pedrocchi

Eccoci dinanzi a uno di quei rari edifici che, per la opportunità loro e per la bene ideata distribuzione, rispondono ad un bisogno da tutti sentito, e servono a collegare insieme gli elementi morali e materiali di un paese se, per caso, fra loro disgiunti. Nell’antica Grecia questo ufficio accentratore era serbato all’Agorà e al Teatro, nella Roma repubblicana, al Foro; in quella servile dei Cesari, all’Anfiteatro; nel medioevo, alla Cattedrale; nel cinquecento, alle Regge spenderecce de’ Principi; ai nostri giorni, invece, e specialmente in Italia, al Caffè. Dobbiamo gloriarcene o coprirci il volto per la vergogna? Senza entrare in una risposta che potrebbe non essere tutta a elogio dell’età presente, dirò solo, che questo Caffè merita, per ogni titolo, la fama che gode, vale a dire del più bello e comodo della nostra penisola.



Pietro Selvatico, architetto, storico e critico d'arte

Lo Stabilimento Pedrocchi nacque nel 1831 dall’incontro di due grandi talenti: quello imprenditoriale di Antonio Pedrocchi e quello architettonico di Giuseppe Jappelli. Il primo riuscì in pochi anni a trasformare la piccola bottega del caffè lasciatatagli in eredità dal padre in un edificio neoclassico ora famoso in tutto il mondo. Il secondo concentrò tutta la sua esperienza e creatività nell’ideazione e nella realizzazione di un concentrato di ardimenti aristici e influssi massonici di eccezionale originalità.

Antonio Pedrocchi fece fortuna con la torrefazione del caffè e decise poi di investire i suoi guadagni nell’ambizioso progetto dell’amico architetto. Tuttavia volle suddividere il suo stabilimento in due zone ben distinte: il Caffè, aperto ventiquattrore al giorno, pronto ad ospitare chiunque, dal viandante affaticato all’uomo d’affari di passaggio; e il Ridotto, riservato alla crème della società padovana, luogo di feste, balli, ma anche di riunioni massoniche, di incontri di business, uno spazio per trattative commerciali esclusivo, regale, nel cuore del centro cittadino.

Nel 1842 le sale del Piano Nobile erano ultimate e si pensò bene di inaugurarle con il IV Congresso degli Scienziati Italiani: era un avvenimento importantissimo, che poneva le basi per l’unità culturale della penisola mentre ancora si combatteva per quella politica. L’affresco della Sala Greca si stava ancora asciugando, quello sul soffitto della Rinascimentale era in via di ultimazione, ma le splendide decorazioni volute da Jappelli erano già tutte presenti ed offrivano uno spettacolo incredibile agli occhi degli scienziati accorsi al congresso. Fu l’ultima grande opera del geniale artista veneziano, che trovò la morte l’otto maggio 1852. Il 22 gennaio dello stesso anno era spirato Antonio Pedrocchi il quale, nella volontà di affidare a persona di fiducia il suo Caffè, aveva adottato Domenico Cappellato, figlio del suo fedele garzone Giambattista. Quest’ultimo fu attento custode dell’eredità del padre putativo, nonostante cedesse la gestione a terzi. Poco prima di morire Domenico Cappellato decise di lasciare in dono lo Stabilimento ai “concittadini, rappresentati dal Comune di Padova”. Ma non era certo sua intenzione lasciare che il Caffè diventasse un monumento da mettere sotto teca, anzi, il testamento recita:

obbligo solenne e imperativo […] di conservare in perpetuo, oltre la proprietà, l’uso dello Stabilimento, come trovasi attualmente, cercando di promuovere e sviluppare tutti quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi, mettendolo a livello di questi e nulla trascurando, onde nel suo genere possa mantenere il primato in Italia



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