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Che cosa legittima il ricorso dello Stato all’arma della pena?
TEORIE DELLA PENA
La pena statuale si legittima come un male inflitto dallo Stato per compensare il male che un uomo ha inflitto a un altro uomo o alla società.
La pena è indipendente da un fine (legge del taglione).
Legittima la pena come mezzo per orientare le scelte di comportamento della generalità dei suoi destinatari. Tramite gli effetti di intimidazione, nel lungo periodo la norma penale svolge una funzione pedagogica. L’orientamento culturale si sostituisce al timore della pena.
La pena è strumento per prevenire che l’autore di un reato commetta in futuro altri reati. Vi sono tre forme per assolvere questa funzione:
RISOCIALIZZAZIONE (aiutare il condannato a reinserirsi nella società nel rispetto della legge)
INTIMIDAZIONE (Per le persone che non possono essere risocializzate)
NEUTRALIZZAZIONE (Per chi non può essere risocializzato o intimidito)
Non esiste una teoria della pena che si imponga come vincente per la sua superiore razionalità: la legittimazione della pena varia a seconda del tipo di Stato. Bisogna guardare alla Costituzione e ai singoli poteri dello Stato (esecutivo, legislativo, giudiziario)
LEGITTIMAZIONE DEL RICORSO ALLA PENA DA PARTE DEL LEGISLATORE
In vista di quali finalità il legislatore italiano può minacciare una pena? Non può essere quello di retribuzione, in vista di fini trascendenti o etici, né può essere un deterrente volto a reprimere ogni manifestazione di infedeltà allo Stato.
L’effetto di PREVENZIONE GENERALE è ciò che legittima la pena. Tale effetto incontra un limite nella funzione di PREVENZIONE SPECIALE (rieducazione) che la Costituzione assegna alla pena. Il tipo e la misura della pena devono rendere possibile la rieducazione del condannato: la pena deve essere sentita come giusta, non deve essere indiscriminata.
CRITERI GUIDA PER LA SELEZIONE DEI FATTI PENALMENTE RILEVANTI
Da quali comportamenti possono essere dissuasi i consociati tramite la pena? “Da comportamenti che ledano o pongano in pericolo le condizioni di esistenza e di sviluppo della società”. I principi seguiti sono:
a) PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ, secondo il quale non vi può essere reato senza offesa a un BENE GIURIDICO, ovvero a una situazione di fatto o giuridica, carica di valore, modificabile e quindi offendibile per effetto di un comportamento dell’uomo.
Il legislatore può punire soltanto fatti che ledano o pongano in pericolo l’integrità di un bene giuridico. “Il principio della necessaria offensività opera sul terreno della previsione normativa”
b) PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA. La pena è legittima quando è recata colpevolmente, cioè quando le offese siano personalmente rimproverabili. Tale principio è correlato alla funzione generalpreventiva della pena.
c) PRINCIPIO DI PROPORZIONE, esprime l’esigenza che i vantaggi per la società perseguiti attraverso le comminatorie di pena siano idealmente messi a confronto con i costi immanenti alla pena stessa. Bisogna controbilanciare offesa e pena. Rappresenta un prius logico del principio della rieducazione del condannato.
d) PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ , postula che la pena venga utilizzata quando nessun altro strumento sia in grado di assicurare al bene giuridico una tutela altrettanto efficace nei confronti di una determinata forma di aggressione. La pena deve, dunque, essere “necessaria”, l’ultima ratio. È collegato al principio che riconosce il carattere inviolabile alla libertà personale.
Il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima nel nostro ordinamento per finalità di PREVENZIONE GENERALE, entro i limiti imposti dal PRINCIPIO DELLA RIEDUCAZIONE DEL CONDANNATO, a TUTELA PROPORZIONATA e SUSSIDIARIA DI BENI GIURIDICI contro OFFESE inferte COLPEVOLMENTE.
LEGITTIMAZIONE DELL’INFLIZIONE DELLA PENA DA PARTE DEL GIUDICE
Il giudice, tramite l’INTERPRETAZIONE della norma incriminatrice, deve accertare la conformità del fatto concreto al modello di reato descritto dal legislatore. Il principio di legalità dei reati impone al giudice di attenersi alla gamma dei POSSIBILI SIGNIFICATI LETTERALI DELLA NORMA. È vietato il ricorso all’analogia a sfavore del cittadino. Altro criterio interpretativo che il giudice è tenuto ad adottare è desumibile dal principio di offensività: entro i possibili significati letterali della norma incriminatrice, deve dare la preferenza a quello o a quelli che circoscrivono la sfera di applicabilità della norma ai fatti offensivi del bene giuridico tutelato. La lettera della legge è il limite esterno imposto all’opera dell’interprete.
Una volta interpretata la norma e avendo accertato che il fatto concreto integra il modello astratto, il giudice pronuncia la condanna e infligge la pena. Le pene devono tendere a rieducare il condannato. Bisogna prevenire che egli delinqua nuovamente, intimidendolo o reinserendolo nella società. Il quantum della pena va scelto entro i limiti fissati dalla norma incriminatrice. La pena deve essere commisurata alla colpevolezza del singolo. Una pena orientata verso la rieducazione del condannato dovrà essere prescelta dal giudice al di sotto del tetto segnato dalla misura della colpevolezza.
La pena ha anche un ruolo di prevenzione generale perché applicarla è un avvertimento verso altri che vorrebbero violare la norma. Ciò è funzionale non solo come INTIMIDAZIONE-DETERRENZA, ma anche come ORIENTAMENTO CULTURALE. La prevenzione generale, però, non può svolgere alcun ruolo nella commisurazione della pena. La pena esemplare vista in tal modo configgerebbe con due principi costituzionali:
PRINCIPIO DI PERSONALITA’ DELLA RESPONSABILITA’ PENALE
PRINCIPIO DELLA DIGNITA’ DELL’UOMO (l’uomo non può esser mezzo per il conseguimento di scopi estranei alla sua persona)
Una volta che il giudice abbia commisurato la pena nel rispetto dei criteri enunciati, può aprirsi un’altra fase in cui lo stesso giudice può disporre che la pena non venga eseguita o può sostituirla con pene diverse. Questa possibilità abbraccia una serie limitata di reati, di gravità medio-bassa, i cui autori possono essere ammessi alla
SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA o alla
SOSTITUZIONE DELLA PENA DETENTIVA A BREVE.
Qui subentra la PREVENZIONE SPECIALE. Il giudice deve agire tramite buon senso, e dovrà agire in tal modo qualora abbia ragione di prevedere che il soggetto non commetterà in futuro nuovi reati.
LEGITTIMAZIONE DELL’ESECUZIONE DELLA PENA DA PARTE DEL POTERE ESECUTIVO
Gli organi del potere esecutivo eseguono la pena inflitta dal giudice, per fini di PREVENZIONE GENERALE e SPECIALE.
La ricerca della rieducazione del condannato incontra dei limiti:
L’OPERA DI RIEDUCAZIONE NON PUO’ ESSERE CONDOTTA COATTIVAMENTE: la rieducazione deve essere un’offerta d’aiuto, non una trasformazione coattiva della persona
La rieducazione deve cedere il passo alla NEUTRALIZZAZIONE del condannato, come ultima carta.
RAPPORTI TRA DIRITTO PENALE E ALTRI RAMI DELL’ORDINAMENTO
Vi sono situazioni conflittuali che reclamano una pluralità di interventi sanzionatori, e quindi sia illecita a diversi titoli (penale, civile, amministrativo, disciplinare). Il diritto penale dovrebbe essere ultima ratio, ma mancando i controlli preventivi diviene unica ratio.
L’inflizione della sanzione penale vincola gli organi preposti all’applicazione delle sanzioni extrapenali? La disciplina apprestata dal nostro ordinamento è nel senso di una articolata e differenziata efficacia del giudicato penale di condanna nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari.
Nel giudizio CIVILE o AMMINISTRATIVO PER LE RESTITUZIONI e il RISARCIMENTO DEL DANNO promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile citato “la condanna con sentenza penale irrevocabile pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso” e la stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nel giudizio abbreviato. Il riconoscimento dell’efficacia di giudicato alle sentenze emanate in esito al dibattimento tagli fuori dall’area dell’efficacia del giudicato le sentenze di applicazione della pena su richiesta dell’imputato e del P.M.
Negli ALTRI GIUDIZI CIVILI e AMMINISTRATIVI “la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quando si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale”, “purchè la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”.
Nei GIUDIZI DISCIPLINARI, una recente riforma ha stabilito che “la sentenza irrevocabile di condanna ha EFFICACIA DI GIUDICATO NEL GIUDIZIO PER RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso”. La stessa efficacia nel giudizio per responsabilità disciplinare è stata attribuita dalla riforma anche alla sentenza pronunciata a seguito del PATTEGGIAMENTO.
Da un altro angolo visuale, si coglie l’accessorietà o l’autonomia della norma penale rispetto alla disciplina extrapersonale della classe di fatti costitutivi delle figure di reato.
Si lasciano individuare due gruppi di ipotesi:
a) Vi sono norme in rapporto di ACCESSORIETA’ con altri rami dell’ordinamento: disciplinano materie in parte giuridicamente preformate dal diritto civile, alle cui regole il giudice penale dovrà necessariamente far riferimento; non dovrà solo constatare i fatti, ma anche applicare quelle regole giuridiche extrapenali. È il campo occupato dagli ELEMENTI NORMATIVI della fattispecie legale che compaiono in molti titoli della parte speciale
b) Vi sono norme caratterizzate da AUTONOMIA rispetto ad altri rami dell’ordinamento, soprattutto come autonomia del significato da attribuire. Il significato può essere conferito dalla legge.
In via interpretativa si può ampliare il raggio di azione della norma per soddisfare le esigenze di tutela espresse dalla stessa, reprimendo fatti che non troverebbero tutela in altri rami dell’ordinamento.
Ogni ramo dell’ordinamento giuridico ha una sua autonomia di strutture e funzioni, ma all’interno di un quadro unitario. Bisogna che esso sia coerente, ovvero uno stesso fatto non può essere considerato favorevolmente da un ramo e negativamente dall’altro. Se all’interno del sistema si manifestano antinomie, è il sistema stesso a dover fornire gli strumenti per eliminarle. Sono le CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE gli istituti che fanno emergere la connessione fra i differenti settori dell’ordinamento e l’unità profonda del sistema: si tratta dei doveri e delle facoltà, derivanti da norme situate in ogni settore dell’ordinamento, che rendono lecito un fatto nell’intero ordinamento.
DIRITTO PENALE e PROBLEMI PROBATORI
L’onere della prova incombe sull’accusa. Una regola costituzionale è il PRINCIPIO DI PRESUNZIONE DI NON COLPEVOLEZZA sino alla condanna definitiva. LE regole probatorie sulla cui base va pronunciata la sentenza di assoluzione sono:
Quando vi è la prova che il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato o il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per altra ragione
Quando vi è il dubbio che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona non imputabile (in dubio pro reo)
Vi è assoluzione se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa di non punibilità.
Questo quadro lineare è contraddetto dal legislatore, quando conia le norme incriminatici che delineano i reati di sospetto, cioè quei reati al cui interno compare un’anomala regola probatoria, che allevia alla pubblica accusa il peso di provare la presenza di un elemento costitutivo del reato, trasferendo sull’imputato l’onere di provare l’assenza di quell’elemento. Tali norme sono incostituzionali, e valide solo in certi casi.
La contraddizione si ha anche quando la giurisprudenza modifica la struttura del reato, per alleviare l’onere probatorio dell’accusa. Vari elementi del reato rischiano di subire questo illegittimo stravolgimento strutturale: in primis, il DOLO, che in base alla legge risulta composto dalla rappresentazione e dalla volizione di un fatto di reato e può dirsi perciò presente e provato solo se si accerta che l’agente ha avuto l’effettiva rappresentazione e volizione di quel fatto; una rappresentazione solo potenziale può invece fondare solo un rimprovero di colpa. Quando però l’accusa non riesce a provare quell’effettiva rappresentazione del fatto reclamata dalla struttura del dolo, spesso il giudice interviene in suo soccorso, stravolgendo la struttura del solo: ritiene sufficiente accertare che l’agente potesse e dovesse prevedere la realizzazione del fatto, trasformando la prova del dolo in prova della colpa.
Non meno vistoso è lo stravolgimento del RAPPORTO DI CAUSALITA’ operato dalla giurisprudenza. Si tratta di un rapporto tra due elementi del fatto di reato: l’AZIONE (omissione) e l’EVENTO CONCRETO, che deve essere conseguenza dell’azione. A volte è impossibile provare la sussistenza di un rapporto di derivazione casuale tra una data azione e un singolo evento concreto, perché non sono ancora disponibili leggi scientifiche in merito. Per aggirare tale ostacolo, la giurisprudenza stravolge la fisionomia del rapporto, facendolo intercorrere non tra azione ed evento, ma tra azione e pericolo dell’evento.
LA LEGISLAZIONE PENALE ITALIANA: CENNI
Il primo codice penale in Italia fu il CODICE ZANARDELLI (1889). Nella parte generale, afferma i principi fondamentali di ascendenza illuministica (legalità, irretroattività, colpevolezza, abolizione pena di morte). Nella parte speciale delinea un rapporto non autoritario tra Stato e cittadino, anche se prevedeva alcuni delitti contro la libertà.
Al codice Zanardelli succede il CODICE ROCCO (1930). Tale codice è ancora più autoritario, molto fascista. Vengono conservati i principi di legalità e di irretroattività delle norme. Il principio di colpevolezza è ampiamente derogato: sono introdotte numerose ipotesi di responsabilità oggettiva e spesso si considerano penalmente responsabili persone incapaci di intendere e di volere al momento del fatto. Nel catalogo delle pene ricompare la pena di morte. Nella parte speciale, si opera un vistoso ampliamento nella tipologia dei delitti contro la personalità dello Stato, mentre si abolisce il titolo dei delitti contro le libertà politiche. Si aboliscono molte manifestazioni di pensiero, si incrimina lo sciopero, è privilegiata la religione cattolica.
Subito dopo la caduta del fascismo, il governo provvisorio ribalta alcune scelte emblematiche della legislazione penale fascista: abolisce la pena di morte e ripristina la scriminante della reazione agli atti arbitrari, nonché le circostanze attenuanti come strumento per una generale mitigazione delle pene.
Si progetta un nuovo codice penale, ancora irrealizzato dal ’48 ad oggi. Sono state, però, apportate varie modifiche.
Nella PARTE GENERALE, nel ’74 viene modificato in favore del reo il trattamento sanzionatorio del concorso di reati, la disciplina della sospensione condizionale della pena e quella del giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, nel ’75 la riforma penitenziaria; nel 1981 vengono depenalizzati degli illeciti minori, introdotta la nuova tipologia sanzionatoria delle pene sostitutive della detenzione breve.
Nella PARTE SPECIALE, vi è la riforma dell’aborto (1978), interventi sulla criminalità organizzata (art. 416 bis), varie modifiche alla normativa in materia di delitti contro la p.a., la riforma dei delitti contro la libertà sessuale (1996), e nuove norme volte a reprimere la pedofilia (1998).
Un ruolo crescente hanno assunto nel tempo le LEGGI PENALI SPECIALI, alle quali si applicano gli istituti della parte generale del codice. Accanto a materie come la fallimentare, societaria e tributaria, nuovi importanti settori del diritto penale hanno trovato la loro sede fuori dal codice: ambiente, mercati finanziari, stupefacenti, urbanistica, lavoro e armi.
In campo penale è spesso intervenuta la Corte costituzionale. Vi sono, in particolare, 2 decisioni di rilievo della Corte fondate sul PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA: nell’una la Corte ha limitato l’irrilevanza dell’errore sulla legge penale ai soli casi in cui l’errore sia inescusabile, nell’altra ha messo al bando in linea di principio la responsabilità oggettiva, individuando nella colpa il limite invalicabile per l’attribuzione della responsabilità penale. Quanto al principio di RISERVA DI LEGGE, la Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma incriminatrice del delitto di plagio e di una norma in materia di espulsione dello straniero. Tra le pronunce di accoglimento fondate sul PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA, vanno segnalate: quella che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della conversione delle pene pecuniarie in pene detentive; una serie di sentenze in materia di misure di sicurezza che hanno portato il legislatore a richiedere l’accertamento della pericolosità da parte del giudice per l’applicazione di tutte le misure di sicurezza. Sono state dichiarate illegittime le norme incriminatici l’adulterio e il concubinato. Quanto ai DIRITTI COSTITUZIONALI DI LIBERTA’ sono state dichiarate illegittime alcune norme che incriminavano certe manifestazioni di pensiero e lo sciopero.
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