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Riprendiamo in esame l’espressione della velocità orbitale data nella (31) della secondo capitolo:
(1)
che possiamo riscrivere come
(2)
poiché m è in genere molto minore di 1.
L’energia orbitale dell’oggetto (energia di legame) sarà data da , cioè dalla somma di energia cinetica e potenziale. Possiamo scrivere questi due contributi come
e
Sommando i due termini si vede subito che . (3)
La (3) ci mostra che l’energia orbitale dell’oggetto attorno al Sole è inversamente proporzionale all’opposto del semiasse: non è un risultato sorprendente e ci mostra ancora una volta che se l’energia di legame è negativa si hanno orbite ellittiche (legate, semiasse positivo), se è nulla orbite paraboliche (semiasse infinito) e se è positiva orbite iperboliche (slegate, semiasse negativo).
Proviamo ora a costruire un grafico con l’eccentricità orbitale in ascissa e il semiasse in ordinata. Chiameremo questo disegno il grafico semiasse-eccentricità, o più semplicemente il piano a-e. Il piano a-e è caratteristico di ogni sistema dinamico, perché il semiasse che viene riportato in ordinata è quello relativo alle orbite rispetto al corpo centrale. Se parliamo del sistema solare nel suo insieme si tratterà di orbite eliocentriche, se invece consideriamo uno dei vari sottosistemi, come il sistema di Giove, si tratterà di orbite planetocentriche.
Ogni orbita con una coppia di valori di semiasse ed eccentricità assegnati (a, e) è rappresentata da un punto nel piano a-e. Per la verità, un punto del piano corrisponde a “tutte” le orbite con quei valori di a ed e, qualunque siano i valori degli altri parametri orbitali; per avere una corrispondenza esatta tra un punto ed un’orbita specifica sarebbe necessario uno spazio a 5 dimensioni, relativamente facile da trattare matematicamente ma impossibile da visualizzare. Per i nostri scopi, però, possiamo trascurare i parametri angolari (i, , ) e limitarci al piano a-e.
Nel grafico di figura 3.1 sono riportate le orbite di alcuni pianeti del sistema solare, da Mercurio a Saturno. Esse compaiono come piccoli cerchietti neri sulla sinistra del disegno. Nei pressi di ognuno di questi cerchietti si trovano due curve; una piega verso l’alto ed una verso il basso: le chiameremo la curva superiore e la curva inferiore del pianeta. Il significato di queste curve è presto detto. La curva superiore contiene tutte le possibili coppie (a, e) tali che le distanze perieliache delle orbite che esse rappresentano siano uguali al semiasse del pianeta, cioè
dove q è la distanza perieliaca degli oggetti. In pratica, si tratta di orbite tangenti “nel loro perielio”, o “dall’esterno”, all’orbita del pianeta. Simmetricamente, la curva inferiore è il luogo delle coppie (a, e) tali che le distanze afeliache siano pari al semiasse del pianeta: saranno cioè le orbite tangenti “nel loro afelio”, o “dall’interno” (vedi la figura 3.2). Ad ogni punto del piano compreso tra le due curve di un pianeta corrisponde un’orbita con perielio all’interno e afelio all’esterno dell’orbita del pianeta, cioè un’orbita “secante”. Viceversa, un punto compreso in una delle regioni dello spazio tra la curva inferiore di un pianeta e quella superiore di un altro pianeta all’interno del primo (che chiameremo “fasce” per analogia con quella asteroidale, come vedremo subito) rappresenta un’orbita completamente compresa tra quelle dei due pianeti, senza nessun punto d’intersezione[1].
La figura 3.3 mostra la disposizione degli asteroidi nella fascia tra Marte e Giove (cioè la fascia asteroidale). Si vede subito che la parte inferiore della fascia asteroidale segue abbastanza bene la curva superiore di Marte, segno evidente di come questo pianeta abbia ripulito la sua zona di influenza da eventuali asteroidi. La parte superiore della fascia è molto più lontana dalla curva inferiore di Giove di quanto lo sia quella inferiore dalla curva superiore di Marte. Questo fatto da solo mostra la maggiore influenza di Giove rispetto a Marte.
La figura 3.3 contiene anche molte altre informazioni interessanti, come vedremo meglio nel seguito. Vi sono degli oggetti dentro le curve di Giove e al di sopra o vicino alla curva inferiore di Saturno (sono i cosiddetti Centauri), così come vi sono molti oggetti all’interno delle curve di Marte, della Terra e degli altri pianeti interni (sono i NEO). Per quanto si è detto prima, un oggetto posto all’interno delle curve di un pianeta ha, in linea di principio, la possibilità di interagire strettamente con questo pianeta: quando le interazioni si limitano a passaggi vicino al pianeta si hanno incontri ravvicinati (close encounters in inglese); in altri casi il passaggio è così vicino che si ha una collisione. Affronteremo in un’altro capitolo i problemi tecnici delle collisioni, ma è evidente fin da ora che queste possibilità dinamiche presentano problemi di grande rilevanza, alcuni dei quali verranno accennati nel prossimi paragrafi.
Si può dimostrare (cosa che non facciamo) che il problema circolare ristretto dei tre corpi (ad esempio Sole, un pianeta su orbita circolare e un oggetto di massa trascurabile) ha un solo integrale: l’integrale di Jacobi. La sua espressione più comune è:
(4)
dove x h z sono le coordinate dell’oggetto rispetto ad un sistema non rotante con origine nel baricentro del sistema, m è la massa del secondario (il pianeta) la massa totale essendo 1 (per cui la massa del primario è 1-m), r1 e r2 sono le distanze dell’oggetto dal primario e dal secondario, la distanza tra questi è 1, e l’unità di tempo è scelta in modo tale che la costante di gravità è uguale a 1 (coordinate jacobiane). C è la costante d’integrazione.
Ora, la massa del secondario nel sistema solare è sempre molto più piccola di quella del primario (il Sole), cosicché si può porre la massa di quest’ultimo uguale a 1 e l’origine delle coordinate nel centro del Sole senza grave errore: in questo caso, ricordando la (2) e la (18) e le (30) della prima esercitazione,
La (4) allora diviene:
(5)
Ora, r1 (la distanza dell’oggetto dal Sole) è circa uguale a r (la distanza dal baricentro). Inoltre, se consideriamo l’oggetto a grande distanza dal secondario (grande almeno da non risentire apprezzabilmente della sua influenza gravitazionale), possiamo trascurare il secondo termine a destra nella (5). Facendo ciò otteniamo la relazione approssimata:
(6)
che dà la quantità T nota come il parametro di Tisserand.
L’utilità del parametro di Tisserand risiede nella sua quasi conservazione. Nei limiti dell’approssimazione indicata, e a grande distanza dal secondario rispetto alla sua influenza gravitazionale, T resterà pressoché costante. Questo non è più vero, come vedremo, quando l’oggetto passa vicino al secondario, cioè durante un incontro ravvicinato: il parametro di Tisserand varierà, anche di molto, durante l’incontro, ma tornerà pressappoco al suo originario valore dopo l’incontro.
Ricordiamo che in unità jacobiane la distanza del secondario dal primario è 1: se vogliamo esprimere T usando le normali unità di lunghezza, l’espressione (6) diviene:
(7)
dove aS è il semiasse del secondario rispetto al primario.
L’espressione del parametro di Tisserand riportata nelle (6) e (7) si riferisce ad un’orbita circolare per il secondario. Come già notato questo non è mai vero, perché tutti i pianeti hanno un’eccentricità non trascurabile. In prima approssimazione (e per la maggior parte dei casi) questo non è un problema, ma è possibile trovare un’espressione di T più accurata che tenga conto dell’eccentricità. Non indagheremo questo aspetto.
Gli incontri ravvicinati sono uno dei fenomeni dinamici più importanti nello studio del sistema solare. E’ grazie a questo fenomeno che il sistema ha la configurazione attuale ed è a causa di questo fenomeno che la dinamica dei corpi minori è così complessa. E’ allora opportuno soffermarsi un poco sui dettagli più tecnici.
Per iniziare il discorso cominciamo dal concetto di sfera d’influenza. Come ben sappiamo, il campo gravitazionale di qualunque massa ha raggio d’azione infinito: i suoi effetti si fanno sentire dovunque in proporzione inversa al quadrato della distanza, come recita la legge di Newton. Tuttavia l’effetto gravitazionale di un pianeta è del tutto trascurabile rispetto ad altri effetti (ad esempio l’influenza di altri oggetti come il Sole, o di forze non gravitazionali) se l’oggetto si trova a distanza notevole. In base a questa osservazione si definisce sfera d’influenza di un pianeta la regione di spazio in cui il suo campo gravitazionale è predominante rispetto agli altri effetti, il maggiore dei quali è il campo gravitazionale solare. In pratica, un oggetto posto a piccola distanza dal pianeta “sente” maggiormente il campo di quest’ultimo rispetto a quello solare, ma man mano che se ne allontana i due campi divengono comparabili finché quello solare predomina. La distanza a cui questo avviene è una delle definizioni possibili di sfera d’influenza.
E’ chiaro che all’interno della sfera d’influenza, dove il campo planetario è predominante, l’orbita dell’oggetto rispetto al Sole subirà una perturbazione notevole. Un incontro ravvicinato può allora essere definito come il passaggio di un oggetto dentro la sfera d’influenza di un pianeta. In realtà la distanza dal pianeta a cui l’oggetto comincia a sentirne l’influenza è molto maggiore del raggio della sfera, come vedremo subito.
Il parametro chiave per la descrizione del fenomeno è la velocità relativa, U. E’ abbastanza intuitivo che se la velocità relativa è alta gli effetti di un incontro con un pianeta non saranno molto pronunciati, al contrario del caso di velocità relativa bassa. D’altra parte è anche intuitivo che questi effetti dipenderanno anche dalla distanza minima a cui i due corpi si vengano a trovare. La distanza minima è il secondo parametro importante. Naturalmente c’è un terzo parametro importante: la massa del pianeta.
La dinamica di un incontro ravvicinato è piuttosto complicata. Lo è per almeno due motivi: innanzitutto un incontro ravvicinato avviene sempre nel contesto di un problema generale non complanare a tre corpi, che non ha soluzione analitica, ma solo numerica; inoltre le conseguenze di un incontro dipendono molto strettamente dalla geometria dell'incontro, una circostanza non sempre definibile con precisione. Nondimeno si sono fatti passi da gigante in questo campo negli ultimi trent'anni, soprattutto grazie alle tecniche di integrazione numerica delle orbite. Esse consistono sostanzialmente nel calcolare, a piccoli passi temporali, l'influenza delle forze gravitazionali in gioco, e di prevedere (e poi correggere) i movimenti in un piccolo intervallo di tempo. Questa caratteristica di “sommare“ i piccoli contributi di piccoli intervalli temporali rende conto del nome di integrazione numerica di queste tecniche. La pratica ha fornito, negli anni, ottimi programmi d'integrazione: ora possiamo calcolare l'evoluzione di un sistema a sette o otto corpi per circa mille anni in pochi minuti con un semplice PC.
Ma perché un incontro ravvicinato è così complesso? La risposta è data dal fatto che gli scambi di energia e momento angolare tra tre oggetti (che influenzano sostanzialmente il semiasse dell'orbita, la sua eccentricità e la sua inclinazione) non sono facili da prevedere. Riferiamoci, per semplicità, al caso di una navicella spaziale che incontri Giove (come è avvenuto per i Voyager): è importante sapere la velocità relativa della sonda rispetto sia a Giove che al Sole, ma è anche essenziale sapere la disposizione dei tre oggetti, cioè la direzione del vettore velocità relativa. Un anticipo, o un ritardo, di poche ore nell'incontro possono cambiare drasticamente questa disposizione, cosicché l'esito dell'incontro può risultare completamente diverso dal previsto. E’ quindi necessario, nella pianificazione di missioni spaziali di questo tipo, stabilire con molta accuratezza la temporizzazione delle manovre e la loro modalità.
Un incontro ravvicinato, specie se su orbita tangente, si compone di tre fasi:
Fase lontana. Quando l'oggetto si trova lontano dal pianeta, sostanzialmente sotto l'influenza del campo gravitazionale solare. In questa fase i parametri orbitali della sonda, pur se perturbati, non si discostano di molto da quelli che essa avrebbe se il pianeta non ci fosse: governa il Sole, che ha l'oggetto sotto stretto controllo.
Fase intermedia. La sonda si trova ora in una “terra di nessuno” dove l'influenza gravitazionale del Sole e di Giove sono comparabili: siamo al limite della sfera d’influenza. Non è possibile calcolare analiticamente cosa avviene in questa fase, ma l'uso di indicatori come il parametro di Tisserand e altre grandezze fisiche possono permettere di tracciare le linee generali del “possibile”.
Fase vicina. Ora è Giove a governare, e il Sole si comporta come un corpo perturbatore. La sonda può avere naturalmente orbita iperbolica rispetto a Giove (il caso più comune) oppure trovarsi temporaneamente legata come “satellite” (anche se provvisorio) del pianeta.
Naturalmente la terza fase si concluderà di nuovo con una seconda fase e poi con una prima fase, quando la sonda si allontana ormai dal pianeta e torna sotto l'influsso del Sole.
E’ opportuno accennare, seppure brevemente, all'importanza della geometria. Per farlo indichiamo due tentativi effettuati nel passato (e talvolta ancora usati) per trattare gli incontri ravvicinati in maniera analitica. Immaginiamo dunque di separare la terza dalla prima fase, e di supporre che la seconda non esista. Immaginiamo inoltre che durante la prima fase la sonda risenta solo del campo gravitazionale del Sole e che durante la terza risenta solo di quello del pianeta. Possiamo allora trattare il problema come un “doppio problema a due corpi”, nel primo dei quali la sonda si muoverà su orbita ellittica attorno al Sole, non disturbata dal pianeta, e nel secondo su orbita iperbolica attorno al pianeta, non tenendo conto delle perturbazioni solari. Ma dove porre l'”interruttore” che fa passare dall'uno all'altro problema? e quand'è che si può trascurare la seconda fase? In effetti queste sono difficoltà che si presentano ogni qual volta si voglia trattare un incontro ravvicinato con questa tecnica, e ne indicano il limite.
Un'altra approssimazione, molto elegante e sorprendentemente corretta, è stata ricavata da Ernst Öpik negli anni '50, ed è ora nota come il metodo di Öpik. In esso si considera la traiettoria imperturbata (cioè come se il pianeta non avesse massa) della sonda nei pressi del pianeta come se fosse una linea retta. Non si commette un errore gigantesco se l'intervallo temporale che si considera è abbastanza piccolo: altrimenti il fatto che gli oggetti siano su orbite non rettilinee (la deriva kepleriana) si fa sentire. La traiettoria perturbata non sarà invece una retta, ma un ramo di iperbole che porterà la sonda ad una distanza minima dal pianeta. La minima distanza tra la traiettoria imperturbata e il pianeta si chiama il parametro d'impatto, e il problema così posto diviene perfettamente analogo a quello dello scattering di elettroni da parte di un nucleo atomico.
Nel seguito useremo unità jacobiane, cioè esprimeremo la massa in unità della massa del Sole e la velocità in unità della velocità (circolare) del pianeta attorno al Sole. Chiameremo b il parametro d'urto, e U la velocità della sonda relativamente al pianeta, calcolata a “distanza infinita” (la cosiddetta la velocità asintotica)[2]: sulla traiettoria imperturbata questa velocità è costante. Usando il formalismo dello scattering atomico, si può dimostrare facilmente che la minima distanza tra sonda e pianeta sulla traiettoria perturbata, q, è legata a queste due quantità e alla massa del pianeta (che fa le veci della carica elettrica del nucleo atomico) dalla relazione
Inoltre, trattandosi di una traiettoria iperbolica e di un sistema perfettamente simmetrico sia nello spazio che nel tempo, la velocità U dopo l'incontro avrà lo stesso valore, ma non la stessa direzione, che aveva prima dell'incontro. La deviazione subita si ottiene dall'angolo tra i due asintoti dell'iperbole ed è uguale all'angolo di scattering
(8)
Ora, noi sappiamo che i parametri orbitali di un oggetto attorno al Sole possono essere calcolati, ad ogni istante, dalle coordinate cartesiane e dalle componenti della velocità rispetto al Sole. Se noi, pur non variando il modulo della velocità, ne variamo la direzione, otteniamo un'orbita diversa. Tutto il trucco del metodo di Öpik sta quindi nel considerare l'incontro istantaneo (cosicché non varia la posizione rispetto al Sole), nel calcolare l'angolo di scattering col metodo accennato (che alla fine fornisce le nuove componenti della velocità rispetto al Sole), e di ricalcolare quindi i parametri orbitali eliocentrici.
Riprendiamo l’espressione , che dà il momento angolare orbitale dell’oggetto per unità di massa. H sarà anche uguale al prodotto della distanza istantanea dal Sole, r, per la componente tangenziale della velocità eliocentrica, vt. All’incontro la distanza dal Sole sarà pari a quella del pianeta (supposto su orbita circolare di raggio unitario), per cui si avrà
da cui si ottiene, per la componente radiale della velocità, vr:
All’intersezione il vettore vt è inclinato di un angolo i rispetto al piano orbitale del pianeta e può essere scomposto nelle sue componenti nel piano orbitale e normale al piano orbitale. Queste due componenti saranno date da e .
Supponiamo che l’incontro avvenga quando il pianeta è sull’asse x dalla parte positiva: la velocità del pianeta attorno al Sole avrà componenti 0 (radiale, componente x), 1 (tangenziale, componente y) e 0 (ortogonale, componente z). Le componenti della velocità relativa U saranno allora date da
(9)
dove il segno di Uz sarà positivo o negativo a seconda che l’incontro avvenga al nodo ascendente (attraversamento del piano orbitale planetario da sotto a sopra) o discendente.
Ne deriva che la velocità relativa all’incontro sarà data da:
(10)
dove T è proprio il parametro di Tisserand. Appare quindi evidente che più questa quantità è vicina a 3, minore sarà la velocità relativa all'incontro. Chiameremo incontri veloci quelli con T molto minore di 3, e incontri lenti quelli con T circa uguale a 3.
Il metodo di Öpik, come si è detto, è sorprendentemente corretto nella maggior parte dei casi di incontri veloci. Esso tuttavia presenta lacune non colmabili quando la seconda fase dell'incontro (che viene qui trascurata completamente) ha una durata apprezzabile. Questo è proprio quello che si verifica negli incontri lenti, quando U è molto piccola (e quindi T prossimo a 3, o leggermente maggiore)[3].
Vediamo ora come si può prevedere l’esito di un incontro ravvicinato col metodo di Öpik, sempre tenendo presenti le sue limitazioni. Per prima cosa sarà bene esaminare la geometria del problema: poniamoci in un sistema in cui il pianeta (su orbita circolare di raggio unitario) sia nell’origine delle coordinate, l’asse y sia diretto nel senso del moto, l’asse x in direzione opposta al Sole e l’asse z perpendicolare al piano orbitale in modo da formare una terna destra (figura 3.4).
Indichiamo con U il vettore velocità relativa. Esso, nel sistema in esame, formerà un angolo J con l’asse y e un angolo j con l’asse z. Poiché
(11)
si avrà e . Dalle (9) si ottiene allora
(12)
(13)
e, invertendo le (9),
(14)
Come abbiamo detto, un incontro ravvicinato ha, in questo schema, solo l’effetto di ruotare il vettore U, mantenendone il modulo, di un angolo g dato dalla (8) che può essere riscritta come
(15)
dove b è il parametro d’urto.
A incontro avvenuto, chiamiamo U’ il nuovo vettore velocità relativa e J e j i nuovi angoli che ne danno la disposizione geometrica, che è illustrata in figura 3.5. In particolare esaminiamo il triangolo sferico di lati J J e g L’angolo tra i lato J e g sia detto y; inoltre chiamiamo c l’angolo opposto al lato g, che risulta essere la differenza tra j e j Con queste posizioni e con un po’ di trigonometria sferica si ottiene:
(16)
(17)
Le equazioni (16) e (17) danno i nuovi J e j da cui si otterranno i nuovi parametri orbitali dopo l’incontro a’, e’, i’ facendo uso delle (11) e (14). Notiamo che U è un invariante del problema e, una volta assegnato, il semiasse a è funzione esclusivamente dell’angolo J, come si può vedere dalla (13). Similmente a’ sarà funzione solo di J essendo U = U’. La teoria di Öpik funziona se la regione di spazio in cui avviene l’incontro è “piccola” cosicché si può ritenere che l’incontro abbia luogo in un punto. Questa assunzione non è più valida quando il parametro di Tisserand si avvicina a 3, cioè per incontri a bassa velocità relativa. La teoria non è applicabile per valori di T maggiori di 3.
In realtà le curve disegnate si riferiscono al semiasse del pianeta senza tener conto della sua eccentricità. Un’orbita tangente, sia da dentro che da fuori dovrebbe essere esaminata rispetto all’anomalia, perché la tangenza può non essere verificata ad anomalie diverse del pianeta. Inoltre, dato che non si tiene conto dell’inclinazione, un oggetto potrebbe avere orbita secante ma non avere la possibilità fisica di incrociare realmente il pianeta.
Veramente in pratica si calcola U a distanza “grande”, ma non infinita. Tuttavia l'errore commesso è molto piccolo, anche se talvolta non trascurabile.
T può essere maggiore di 3 e U reale, malgrado la relazione precedente, se si tiene conto del fatto che il problema effettivo differisce da quello “ristretto” dei tre corpi e che la (9) vale solo nel caso di orbite secanti.
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