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Tutti gli oggetti del sistema solare sono sotto il controllo del campo gravitazionale del Sole. Tuttavia questo controllo non è sempre diretto ed è interessante esaminare più in dettaglio come sia strutturata la “gerarchia” di chi comanda. Vedremo in questo capitolo che i pianeti, anche se molto più piccoli del Sole, giocano un ruolo determinante e che lo studio dei vari sottosistemi planetari ci può fornire preziose informazioni sulla dinamica “in grande” del sistema planetario.
Come abbiamo accennato in un precedente capitolo, la presenza del Sole genera una buca di potenziale che è la diretta responsabile del fatto che un’orbita sia una conica. Però, qualunque massa del sistema genera la sua “buca” e possiamo quindi immaginare il sistema planetario come un insieme di buche più o meno pronunciate che interagiscono. Il percorso di un piccolo oggetto come un asteroide o una cometa si svolge su un terreno molto “accidentato” e non esiste una formulazione analitica completa e generale per il moto di un tale insieme di molti corpi.
Abbiamo però anche visto che spesso possiamo con una buona approssimazione trascurare la presenza delle buche minori. Questo è senz’altro vero se gli oggetti sono molto distanti: un transnettuniano sente molto poco l’influenza di Mercurio. Ai fini pratici – e su tempi brevi – si possono trascurare quasi tutti i campi gravitazionali minori ma se lo studio si estende su periodi lunghi di tempo questa operazione non è più consentita per l’accumularsi di quelle che abbiamo chiamato perturbazioni secolari.
Infine, esaminando il metodo di Öpik abbiamo visto che per un oggetto che passi molto vicino ad un pianeta si può temporaneamente trascurare il campo gravitazionale solare, perché quello del pianeta è dominante. Vediamo più in dettaglio cosa avviene in questi casi.
Riprendiamo in esame l’incontro di P/Gehrels 3 con Giove tra il 1965 e il 1975. Nella figura 4.4 abbiamo mostrato l’incontro in un sistema di riferimento inerziale centrato sul Sole; proviamo ora a vedere cosa successe durante l’incontro in un sistema centrato su Giove ed esaminiamo la figura 9.1, tratta dall’atlante Long-Term Evolution of Short-Period Comets (Carusi, Kresák, Perozzi, Valsecchi, 1985). Tralasciamo le tabelle, che danno informazioni quantitative sulle orbite, e concentriamoci sui quattro grafici. Quello in alto a sinistra è lo stesso della figura 4.4, mentre quello in alto a destra mostra l’andamento della distanza tra la cometa e Giove nel tempo. La curva a tratto continuo dà la distanza vera, mentre quella tratteggiata dà la distanza che si sarebbe avuta se il campo gravitazionale di Giove fosse stato “spento”, cioè la distanza imperturbata. Come si vede vi furono due minimi di distanza nel 1970 e 1973, rispettivamente a 0.0014 e 0.0407 UA dal pianeta.
I grafici più interessanti sono però quelli in basso. Il grafico di destra mostra l’andamento nel tempo dell’energia orbitale e quello di sinistra il percorso di P/Gehrels 3 nei pressi del pianeta (all’interno di una sfera di 2 UA), in un sistema di riferimento non inerziale in cui il Sole si trova sempre sull’asse x dalla parte negativa. Un tale sistema di riferimento è “ancorato” con il pianeta e ruota attorno al Sole: viene detto sistema rotante (o sinodico). Come si vede subito dalla figura di destra, l’energia orbitale di P/Gehrels 3 attorno a Giove (cioè l’energia dell’orbita planetocentrica) è dapprima positiva (orbita planetocentrica iperbolica), quindi decresce e diviene negativa (orbita planetocentrica ellittica), per poi tornare positiva. Nel periodo di 7.64 anni in cui l’orbita planetocentrica è ellittica, la cometa si è comportata a tutti gli effetti come se fosse un satellite di Giove: è un tipico caso di cattura satellitaria temporanea o TSC (temporary satellite capture).
Sembra quindi che ci sia un canale dinamico che permette ad oggetti slegati di legarsi, almeno temporaneamente. Questo risultato non è sorprendente. Riprendiamo infatti l’espressione dell’integrale di Jacobi
(1)
che, si disse, era espressa in un sistema non rotante. E’ chiaro ora il perché della specificazione: qual è la formulazione della (1) nel nostro sistema rotante? Senza entrare nei dettagli, l’espressione è:
(2)
dove x, y, z è la terna rotante (come nella figura 8.1) però centrata nel baricentro del sistema. Il primo pezzo del termine a sinistra è la velocità del terzo corpo in questo sistema e r1 e r2 sono le distanze dal primario e dal secondario; C è l’integrale.
Cosa avviene se poniamo la velocità del corpo uguale a zero? Se r1 e r2 sono ambedue grandi (cioè se il corpo è lontano dai due primari) e quindi i termini che li contengono trascurabili rispetto agli altri, avremo
cioè l’equazione di un cerchio: su quel cerchio la velocità relativa ai due corpi maggiori sarà nulla. Se però una delle due distanze è piccola compaiono, all’interno di questo cerchio, degli ovali che circondano le due masse 1 - m e m (indicate con M1 e M2 nella figura; limitiamoci al piano x, y per semplicità). Anche su questi ovali la velocità relativa sarà nulla, mentre non lo sarà all’interno dei singoli ovali (o all’esterno del cerchio grande); la zona di piano interna al cerchio grande ma esterna agli ovali sarà interdetta perché la velocità sarebbe immaginaria (vedi figura 9.2).
Facciamo ora decrescere C: i due ovali cresceranno finché, per un valore C compreso in figura tra C2 e C3, si toccheranno in un punto che chiameremo L1. Per valori più piccoli dell’integrale i due ovali si fonderanno facendo aprire un “collo di bottiglia”, un canale di comunicazione tra i due corpi maggiori. Un oggetto che prima era confinato a ruotare attorno a uno solo dei due primari può ora passare dalle vicinanze dell’uno alle vicinanze dell’altro.
Continuando a far decrescere C si vede che esistono altri quattro punti notevoli: L3 dove il cerchio grande tocca l’ovale piccolo, L2 dove è l’ovale grande a toccare il cerchio esterno, e L4 ed L5 dove il valore di C diviene arbitrariamente piccolo. Questi sono i famosi punti lagrangiani: instabili i primi tre (detti anche collineari) e relativamente stabili gli ultimi due. Sarà già chiaro che se i primari sono il Sole e Giove questi ultimi sono proprio i punti dove si addensano gli asteroidi Troiani e Greci.
Appare quindi chiaro che una cometa può essere trasferita dal controllo del Sole al controllo di Giove attraverso il “collo di bottiglia”, da cui prima o poi riuscirà, e avere temporaneamente parametri ellittici rispetto al pianeta. La cattura sarà sempre temporanea, ma potrà durare molto a lungo come è stato dimostrato dal recente caso della P/Schoemaker-Levy 9: prima di schiantarsi su Giove, nel 1994, questa cometa gli ha girato attorno per circa 140 anni, stando ai calcoli più attendibili.
Questa ulteriore osservazione ci permette infine di tracciare una specie di “mappa del traffico” del sistema solare. Come in tutte le reti stradali vi saranno arterie a grande velocità, cioè delle “autostrade”, e stradine più disagiate e più lente. Le “autostrade” sono fornite dagli incontri ravvicinati che, come abbiamo visto, sono in grado di spostare oggetti sul piano a-e su grandi distanze, mantenendo pressoché costante il parametro di Tisserand. Sono questi incontri i responsabili della formazione dei serbatoi di comete e dell’esistenza dei Centauri e delle comete di corto periodo. Durante questi incontri può avvenire che gli oggetti siano temporaneamente catturati come satelliti; temporaneamente, ma può capitare che la durata di una TSC sia piuttosto cospicua. Inoltre l’orbita ellittica temporanea varierà continuamente in maniera molto pronunciata: tali “satelliti” non sono certamente “regolari”. Durante questo periodo gli oggetti catturati possono interagire con i veri satelliti e contribuire alla loro craterizzazione o frammentazione, possono frantumarsi e contribuire alla formazione di dischi, possono infine cadere sul pianeta.
I “viottoli”, molto più disagiati, sono rappresentati dalle risonanze. In questi casi non è il parametro di Tisserand a rimanere costante ma il semiasse orbitale, cioè alla fine l’energia. Come abbiamo visto esso oscilla attorno al valore della risonanza, ma la sua media è costante. Quello che varia è il momento angolare dell’orbita, cioè l’eccentricità e l’inclinazione. Nel piano a-e questo significa che un asteroide di fascia principale si può muovere in orizzontale da basse ad alte eccentricità, tagliando in successione le curve di tangenza di vari pianeti. E’ questo fenomeno che permette l’immissione di asteroidi nelle regioni più interne del sistema solare, dove possono interagire con i pianeti terrestri (e quindi anche con la Terra).
Riproduciamo qui la figura 3.3, che mostrava la distribuzione degli asteroidi sul piano a-e (figura 9.3) Dicemmo allora che questa distribuzione segue abbastanza bene la curva superiore di Marte ed è abbastanza lontana (salvo le eccezioni a 4.0 e 5.2 UA) da quella inferiore di Giove. E’ evidente ora il motivo: gli incontri con Marte sono poco efficienti, data la piccola massa del pianeta, e quindi esistono ancora asteroidi molto vicini alla tangenza esterna con quel pianeta. Quelli con orbite intersecanti sono stati eliminati da lungo tempo attraverso collisioni. Viceversa, la massa di Giove è enorme e anche incontri lontani possono avere conseguenze drammatiche, come mostrato dai casi di P/Gehrels 3 e P/Oterma. Dunque, gli asteroidi “vicini” alla curva inferiore di Giove, tranne molti libratori, sono stati estratti da lungo tempo grazie a incontri ravvicinati e trasferiti in gran parte o verso l’interno, dove sono caduti su qualche pianeta, o verso le regioni esterne del sistema, fino alla Nube di Oort. Tuttavia, in alcuni casi possono essere intervenuti gli altri pianeti esterni, Saturno, Urano e Nettuno. Un oggetto estratto da Nettuno dalla Cintura di Edgeworth-Kuiper può avere un incontro ravvicinato ad esempio con Saturno. In questo caso sarà il parametro di Tisserand rispetto a Saturno a rimanere costante, mentre quello rispetto a Nettuno cambierà. Saturno poi potrà passare l’oggetto fino al controllo di Giove Per questo motivo si trovano, in figura 9.3, alcuni oggetti sia tra le curve di Giove che di Saturno: sono i Centauri.
Sempre in figura 9.3 si notano infine un gran numero di oggetti dentro le curve dei pianeti interni. Questi sono asteroidi di fascia principale che le risonanze, sia di moto medio che secolari, hanno fatto “migrare” verso le alte eccentricità. Bastano pochi incontri con la Terra o con Venere (meno con Marte) per “estrarre” questi oggetti dalle risonanze e congelarne l’orbita ad alte eccentricità. In tal caso questi oggetti, i NEO, continueranno ad orbitare tra i pianeti interni finché non vi sarà un impatto (in genere col Sole).
Quali sono i tempi scala di questi fenomeni? Gli incontri con i pianeti maggiori sono pressoché istantanei e quindi i corpi minori che li subiscono “saltano” in tempi brevissimi da una regione all’altra del sistema. Le risonanze, invece, agiscono su tempi lunghi, dell’ordine del milione di anni, e questi sono anche i tempi di vita tipici dei NEO. I processi collisionali nella fascia principale, però, producono in continuazione “nuovi” asteroidi, che spesso vediamo raggruppati in famiglie. Se questo avviene vicino ad una risonanza, come abbiamo visto, alcuni di essi possono essere trasferiti nelle regioni interne e divenire NEO. C’è quindi in atto un processo di migrazione che rifornisce in continuazione oggetti alla popolazione di NEO, oggetti che rimpiazzano quelli che hanno subito collisioni con i pianeti. Non è affatto chiaro se e in che misura questo processo sia in equilibrio dinamico.
Infine le comete – e in minor misura gli asteroidi – rilasciano in continuazione frammenti del nucleo che seguono pressappoco l’orbita del corpo genitore. Questi sciami sono molto comuni nel sistema solare e, anche se rappresentano una frazione molto piccola del materiale fine, sono i maggiori responsabili di un fenomeno molto evidente sulla Terra, la caduta di meteoriti. Abbiamo visto che i movimenti di questa popolazione di corpi minuti non sono soggetti solo ai campi gravitazionali, ma sono il risultato della sovrapposizione di un insieme di effetti molto legati alla fisica del corpo centrale, soprattutto la sua emissione luminosa. Tutti questi effetti agiscono su tempi scala relativamente lunghi in paragone alle variazioni dirette causate dagli incontri ravvicinati, ma spesso molto più brevi delle perturbazioni secolari. A causa di essi la dinamica dei piccoli corpi è molto complessa e decisamente caotica.
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