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Il “filo d’Arianna” che ha portato dalle profondità temporali della storia umana all’epoca della scienza è stato il problema della comprensione dei moti planetari. Si è partiti da un “fatto”, come sempre accade nell’indagine del mondo fisico; un fatto che si presentava in maniera naturale a chi osservava il cielo notturno, ma che non avrebbe suggerito nulla se l’uomo non avesse imparato a riflettere sui “fatti” della natura.
Nella sua semplicità il fatto in questione è sorprendente: mentre tutti gli oggetti[1] che vengono percepiti dall’occhio umano sulla volta celeste non cambiano le loro posizioni relative da una notte all’altra, alcuni si muovono rispetto agli altri. Questa semplice osservazione ha avuto il potere di far nascere un processo di pensiero che ha dato origine nel tempo all’astrologia, a miti e credenze religiose, a dibattiti culturali e a contese politiche, oltre naturalmente a porre le basi per lo sviluppo della scienza moderna.
La difficoltà principale a cui si trovarono di fronte i primi scrutatori critici delle cose celesti era la non regolarità del moto di questi oggetti. Tutte le stelle si muovono infatti, rispetto ad un osservatore terrestre, come se fossero agganciate ad una enorme sfera che circondi la Terra; fanno eccezione il Sole, la Luna e i pianeti. Tuttavia, il moto del Sole è abbastanza regolare, come del resto (anche se un po’ meno) quello della Luna. I pianeti invece si muovono cambiando in continuazione la loro velocità e in certi casi anche la direzione del moto. Fin dal tempo dei babilonesi, circa duemila cinquecento anni fa, si poteva predire con grande precisione (quella naturalmente degli strumenti antichi) la posizione di una stella anche per molti anni nel futuro; il calcolo analogo della posizione del Sole e della Luna era più complesso, ma ancora accettabilmente fattibile, al punto che già i babilonesi erano in grado di predire le eclissi. Ma la predizione esatta della posizione dei pianeti più luminosi sfidava qualsiasi modello geometrico e matematico e rimase un problema insormontabile fino al XVII secolo.
Dal punto di vista tecnico una causa importante di tutte queste difficoltà va cercata in un’errata scelta del sistema di riferimento. Poiché infatti la Terra si muove attorno al Sole come gli altri pianeti (cosa ignota agli antichi), non rappresenta certamente un buon punto dove porre l’origine delle coordinate celesti. Tutti i sistemi geocentrici (orizzontali, equatoriale, eclitticale) soffrono dello stesso problema e la matematica antica non era assolutamente in grado di trattare condizioni di tale complessità. Per la verità già alcuni scienziati greci (in particolare Aristarco) avevano formulato l’ipotesi che fosse la Terra a muoversi attorno al Sole e non viceversa, ma questa ipotesi era fortemente controintuitiva e cozzava contro l’esperienza di assoluta immobilità che il corpo umano “sente” quando è fermo rispetto al terreno, né fu possibile elaborare una teoria matematica che la provasse. Per di più bisogna tener conto che alcuni grandi filosofi, da Eudosso ad Aristotele, avevano costruito sull’ipotesi geocentrica una imponente teoria cosmologica perfettamente verosimile; le piccole discrepanze che pur si osservavano dovevano quindi essere risolte nel quadro teorico esistente e non venivano ritenute sufficienti a cambiare la visione del mondo. A queste motivazioni “scientifiche” si aggiungevano poi quelle di natura religiosa, filosofica e politica. Un eventuale moto della Terra era ritenuto “innaturale” e contrario all’esigenza di perfezione della volta celeste.
Ma il vero equivoco culturale di fondo che ha impedito l’elaborazione di una teoria coerente e completa fino al ‘600 è stato di ritenere che gli oggetti celesti seguissero, per il loro moto, regole diverse da quelli terrestri. Nessuno avrebbe osato sostenere che non esiste differenza tra le cose del cielo (regno degli dèi e della perfezione) e quelle terrene (regno degli uomini e della corruzione). Bisogna considerare che la concezione della Natura come un tutto unico soggetto alle stesse regole sempre e dovunque è concezione molto moderna, che in astrofisica va sotto il nome di principio cosmologico. E’ un’assunzione, non una dimostrazione teorica, un assioma ragionevole desunto dall’esperienza[2].
Nel nostro breve percorso attraverso gli sconvolgimenti della rivoluzione copernicana prenderemo dunque le mosse dalla situazione dell’astronomia planetaria alla vigilia della pubblicazione del De Revolutionibus Orbium Coelestium (1543), esamineremo velocemente il contributo fornito da Copernico e dai suoi successori e lo confronteremo alla fine con l’immagine del mondo contenuta nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Newton (1687). Come si vedrà la differenza è abissale e segna un vero rivolgimento di concezioni, su cui è stata costruita la scienza moderna[3].
Nel corso del cammino affronteremo, assieme a Johannes Kepler, il problema della previsione del moto dei pianeti e della definizione dei due concetti basilari di massa e forza. Affronteremo il travaglio che portò Galileo Galilei a “inventare” il metodo sperimentale e a formulare, anche se in maniera imprecisa, le prime leggi del moto. Affronteremo, infine, il percorso a volte tortuoso che portò Isaac Newton a formulare le basi del calcolo differenziale, lo strumento che gli permise di trattare il problema del moto in maniera uniforme. Troveremo alla fine la “scienza nuova” corredata di tutte le attrezzature fondamentali per partire nell’impresa di descrivere il mondo solo con l’ausilio della ragione e delle “sensate esperienze”.
Quando Copernico si accinse a scrivere la sua opera più importante lo stato dell’astronomia planetaria in Europa non era molto dissimile da quello del tempo di Tolomeo. E’ importante ricordare che Copernico era in fin dei conti un tolemaico. Lo era perché era stato educato in tal senso nella prassi astronomica, ma lo era anche da un punto di vista più intimo, di convinzione personale. I concetti moderni di massa e forza, su cui si basa la dinamica newtoniana, gli erano del tutto estranei e la sua matematica non molto diversa da quella dei suoi predecessori. Il suo grande merito, in base al quale è giustamente considerato l’artefice della rivoluzione, è stato di riuscire a distaccarsi dalle considerazioni non scientifiche e basare i suoi ragionamenti sulla più profonda onestà intellettuale. Questa posizione è chiarita molto esplicitamente nella lettera di prefazione che Copernico pubblicò assieme al De Revolutionibus, indirizzata “Al Santissimo Signore Paolo III, Pontefice Massimo”.
“Mi è facile, Santissimo Padre, prevedere che taluni, non appena avranno appreso come in questi miei libri, scritti sulle rivoluzioni delle sfere dell’universo, io attribuisca al globo terrestre certi movimenti, subito chiederanno a gran voce che, avendo tale opinione, io sia messo al bando…
Pensando quindi fra me stesso quanto assurda avrebbero giudicata la mia affermazione che la Terra si muove coloro i quali sanno che l’idea della Terra immobile nel mezzo dei cieli e centro degli stessi ha trovato conferma nel giudizio di molti secoli, ho avuto a lungo il dubbio se rendere pubblici i miei commentari scritti per dimostrare il moto della Terra… Ma poi la mia lunga esitazione ed anche la mia resistenza furono vinte da persone amiche…
Ma non tanto la Santità Vostra si meraviglierà del fatto che io abbia avuto l’ardire di dare alla luce questi miei pensieri… quanto piuttosto vorrà sentire da me come mi sia venuto in mente di concepire un qualche moto della Terra, osando andare contro l’opinione acquisita dei matematici e lo stesso senso comune. Così non voglio nascondere alla Santità Vostra che io sono stato indotto a pensare ad un altro metodo di calcolo per il moto delle sfere, soltanto dall’aver raggiunto la consapevolezza che i matematici non hanno idee chiare attorno a questi moti…
Infatti coloro che ritennero che si possono comporre con questi [artifici[4]] alcuni moti differenti, non furono tuttavia in grado di stabilire con certezza nessun sistema che rispondesse sicuramente ai fenomeni … Né furono in grado di scoprire oppure di dedurre da tali mezzi la cosa più importante: vale a dire la forma dell’universo e l’immutabile simmetria delle sue parti.”
Il punto fondamentale di Copernico, sottolineato nel brano precedente, è che l’astronomia tolemaica non aveva risolto né avrebbe potuto mai risolvere il problema del moto dei pianeti. Ne deriva che l’impostazione di base deve essere sbagliata. Questa conclusione apparentemente drastica è basata sulla constatazione che i molti modelli astronomici che si successero da Tolomeo in poi (attraverso la tradizione araba prima e medievale poi), tutti basati sull’ipotesi geocentrica, avevano prodotto un “mostro”, così descritto dallo stesso Copernico:
“Accadde invece ad essi [i “matematici” antichi] quel che accade ad un pittore che prenda mani, piedi, testa e le altre membra da modelli differenti, e che le disegni in maniera eccellente ma non in funzione di un singolo corpo e, poiché tutte queste parti non armonizzano assolutamente fra loro, ne vien fuori un essere mostruoso invece di un uomo.”
Dunque, Copernico era ben cosciente, a differenza di molti suoi contemporanei, che la teoria tolemaica e le sue numerose modificazioni successive avevano alla base qualcosa di profondamente sbagliato. Ma fu una coscienza, diciamo così, “di principio”. Infatti, i dati astronomici su cui Copernico si basò per la sua riforma erano tutt’altro che soddisfacenti dal punto di vista dell’accuratezza. Come fa notare Thomas S. Kuhn:
“Molti degli elementi d’informazione ereditati da Copernico e dai suoi colleghi erano dati sbagliati che attribuivano ai pianeti ed alle stelle posizioni mai occupate. Alcune delle registrazioni sbagliate erano state effettuate da osservatori di scarso valore; altre si erano un tempo basate su osservazioni corrette, ma erano state malamente copiate o interpretate nel processo di trasmissione. Nessun sistema planetario semplice, né quello di Tolomeo né quello di Copernico o di Kepler o di Newton, avrebbe potuto inquadrare sistematicamente gli elementi d’informazione che gli astronomi della Rinascenza ritennero di dover spiegare.”[6]
Si racconta che Copernico ricevette la prima copia del De Revolutionibus sul letto di morte, nel 1543. Il libro dunque uscì e cominciò a diffondersi quando il suo autore era già scomparso, e fu una diffusione lenta. Ma quello che più sorprende non è tanto questa lentezza iniziale, quanto il ritardo con cui si sollevò la reazione alle idee in esso contenute. La critica storica ha individuato numerosi motivi che hanno ritardato la reazione; eccone alcuni.
Le idee di Copernico quindi si fecero strada lentamente ed in un ambiente professionale piuttosto ristretto. La reazione esplose, in un crescendo impressionante, solo all’inizio del ‘600, più di 60 anni dopo la pubblicazione. Ma perché ci fu questa reazione? Perché fu così aspra? E in ultimo, perché il copernicanesimo vinse? E’ opportuno soffermarci su queste questioni ora, perché è nella loro ottica che esamineremo i contributi successivi.
A dire il vero la reazione in ambiente protestante fu molto rapida, al punto che già nel 1539 Lutero criticò aspramente un “astrologo da quattro soldi, il quale s’è dato da fare per dimostrare che è la Terra che gira, e non i cieli e il firmamento, il Sole e la Luna…”. E Melantone, suo primo allievo, gli fece prontamente eco: “…certi uomini, per amor di cose nuove o per dar prova d’ingegno, hanno stabilito che la Terra si muova; e sostengono che tanto l’ottava sfera quanto il Sole non ruotano…”, affermando quindi: “Orbene: è una mancanza d’onestà e di dignità sostenere pubblicamente tali concetti, e l’esempio è pericoloso.”
Certamente le idee copernicane ebbero fin dall’inizio vita difficile anche in ambiente scientifico. I colleghi di Copernico, tutti formati alle idee tolemaiche, raramente seppero cogliere il grande spunto di novità, soprattutto perché, come già accennato, questo spunto non era in realtà sostenuto da prove convincenti. L’inerzia del mondo scientifico verso le innovazioni è sempre stata molto forte perché cambiare opinione richiede, oltre ad una confessione pubblica di aver sostenuto ed insegnato dottrine sbagliate (o almeno superate), uno sforzo personale di aggiornamento che è piuttosto faticoso, specie se effettuato in età non più giovanile.
Ma l’ambiente astronomico si rese conto abbastanza presto che la teoria copernicana in effetti era molto vantaggiosa, se non altro perché permetteva di calcolare la posizione dei pianeti in maniera ben più accurata del passato e in modo abbastanza semplice. Ne sono prova le Prutenicae tabulae pubblicate da Erasmus Reinhold nel 1551 e basate sui metodi copernicani. Queste tavole, tra l’altro, furono utilizzate estensivamente durante la riforma del calendario sotto papa Gregorio XIII, nel 1582: il mondo cattolico ancora non aveva ritenuto Copernico pericoloso.
La reazione più violenta quindi non derivò tanto da motivi scientifici. Per dirla ancora con Kuhn “…se la scelta tra l’universo tradizionale e l’universo copernicano fosse stata una questione concernente soltanto gli astronomi, con ogni probabilità la soluzione copernicana avrebbe tranquillamente e gradualmente conseguito la vittoria. Tale scelta, invece, non era esclusivamente, e neppure principalmente, di competenza degli astronomi; e quando la disputa si estese al di fuori dei circoli astronomici, essa divenne in sommo grado tempestosa.” I dotti dell’epoca, senza una particolare preparazione scientifica, trovarono le idee copernicane ridicole e contrarie al buon senso, cosa su cui non si può dar loro troppo torto. Appoggiata con cautela e sempre con distacco dai professionisti, avversata e ridicolizzata dagli altri dotti, la teoria trovò però il suo scoglio maggiore nella religione e nella politica.
Abbiamo già notato che le prime reazioni di natura religiosa vennero dai protestanti. Essi contrapposero alle affermazioni copernicane la “verità” delle Sacre Scritture, in particolare alcuni versetti del Qoèlet[7]. Al giorno d’oggi risulta (o dovrebbe risultare) chiaro a tutti, credenti o no, che le affermazioni della Bibbia vanno prese con cautela se non riferite direttamente a fatti di fede; a quell’epoca questo non era vero e questo fu lo scoglio principale su cui s’infranse la difesa di Galileo. I copernicani furono tacciati di essere “infedeli” e “atei”, con impressionanti paralleli a talune posizioni integraliste che ancora esistono. Va tuttavia notato che la Chiesa cattolica non si unì subito alla lotta a Copernico; questo avvenne solo dopo il 1610, dopo il primo processo a Galileo. Nel 1616 Copernico e i suoi seguaci furono accusati di eresia e il De Revolutionibus fu posto all’Indice dei libri proibiti . Ma a quel punto la battaglia era già persa: le idee copernicane, soprattutto grazie all’opera di Tycho Brahe, Johannes Kepler e Galileo Galilei, erano oramai saldamente entrate nelle grazie dei professionisti più avveduti e l’avventura della scienza era già cominciata.
E’ impressionante osservare come tante persone di grande cultura e certamente non amanti delle contrapposizioni nette, come il cardinale Roberto Bellarmino[9], siano rimaste invischiate in questa deprimente vicenda, e ancora sorge la domanda: ma, alla fine, perché era così drammatico far muovere la Terra? Rispondiamo a questa domanda ancora dando la parola a Kuhn.
“…[quanto riportato prima] pone in evidenza le armi più popolari e potenti dell’arsenale apprestato contro Copernico e i suoi seguaci; ma è ben poco indicativo delle effettive ragioni della guerra. La maggior parte dei personaggi menzionati sono così decisi nel respingere il moto della Terra in quanto assurdo o in contrasto con l’autorità, che dimenticano di rilevare, e forse senza rendersene pienamente conto in un primo tempo, che il copernicanesimo era in realtà il potenziale demolitore di un’intera costruzione di pensiero. Il loro stesso dogmatismo maschera i loro motivi: ma non li elimina. Era in gioco ben più che una rappresentazione dell’universo o qualche versetto della Scrittura. La visione cristiana della vita e le leggi morali che erano state stabilite in funzione di essa non avrebbero potuto essere rapidamente adattate a un universo in cui la Terra fosse soltanto uno fra diversi pianeti. Nella tradizionale costruzione del pensiero cristiano descritta da Dante all’inizio del secolo XIV, cosmologia, morale e teologia erano state profondamente intrecciate. L’energia e l’animosità manifestatesi quando, tre secoli più tardi, la controversia copernicana toccò il suo acme testimoniano della forza e della vitalità della tradizione Il copernicanesimo esigeva una trasformazione della prospettiva in cui l’uomo vedeva il suo rapporto con Dio e i fondamenti della legge morale. Una tale trasformazione non poteva essere condotta a termine in un breve arco di tempo e non fu quasi neppure iniziata finché le prove a sostegno della dottrina copernicana rimasero incerte come nel De Revolutionibus. Finché non si giunse a questa trasformazione, gli osservatori sensibili poterono ben trovare i valori tradizionali incompatibili con la nuova cosmologia, e la frequenza con cui l’accusa di ateismo venne lanciata contro i copernicani è la prova della minaccia dell’ordine stabilito che, secondo molti osservatori, il concetto di una Terra planetaria veniva a costituire.”
Naturalmente la constatazione che si trattasse di “oggetti” è molto tarda.
Il principio cosmologico è stato, ed è, ripetutamente messo in dubbio. Non c’è di fatto nessuna garanzia che esso sia valido, come non c’è nessuna prova che non lo sia. Ad esempio, le condizioni dell’universo subito dopo (o prima!) del Big Bang potevano basarsi su una fisica diversa dall’attuale; le stesse “leggi” della fisica potrebbero variare nel tempo, ma noi per ora non lo sappiamo.
Tra i due lavori citati passano 144 anni. Si può allora confrontare la scienza del 2004 e quella del1860, e il paragone mostra ovviamente che 144 anni non sono pochi. Tuttavia è bene tener presente che mentre la scienza del 1860, pur se meno elaborata, era pur sempre la stessa scienza di oggi, nell’altro caso la Scienza (in senso moderno) era presente alla fine del periodo e assente all’inizio.
Qui Copernico si riferisce ai tanti accorgimenti utilizzati fino allora: cerchi omocentrici, eccentrici, epicicli e deferenti, eccetera.
La sottolineatura è mia. Questo è il principio deontologico fondamentale per tutti gli scienziati moderni: se le teorie esplicative non sono in accordo con i fenomeni vuol dire che le teorie, per quanto belle e apparentemente solide, sono sbagliate. Riconoscerlo e dichiararlo apertamente è un preciso dovere, ma può essere faticoso, doloroso, o addirittura pericoloso, come la storia ha mostrato in varie occasioni. Sta all’onestà e al coraggio dello scienziato fare la sua scelta.
T.S. Kuhn, “La rivoluzione copernicana”, Einaudi, Torino, 1972. Questo è il libro fondamentale su cui mi baso per descrivere gli avvenimenti storici legati a Copernico: tutte le citazioni riportate sono estratte da esso, se non diversamente indicato. Una bibliografia ragionata del contenuto di queste dispense si trova alla fine, prima delle Appendici.
Proprio all’inizio del Qoèlet (Ecclesiaste) si legge:
Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da cui risorgerà.
La Chiesa proibì la stampa di libri che consideravano una realtà fisica il moto della Terra fino al 1822. Giusto in tempo per cominciare un’altra battaglia assurda contro l’evoluzionismo di Darwin.
In una lettera al copernicano Foscarini, Bellarmino scriveva: “Se ci fosse una prova reale che il Sole è al centro dell’universo, che la Terra è nel terzo cielo, e che non è il Sole a girare attorno alla Terra ma la Terra attorno al Sole, noi dovremmo procedere allora con grande cautela nello spiegare brani della Scrittura che sembrano insegnare il contrario ed ammettere che non li abbiamo capiti piuttosto che dichiarare falsa un’opinione provata vera.” Aggiungeva però Bellarmino, subito dopo, ”Ma, per quanto mi riguarda, non crederò che esistano tali prove fino a quando non mi siano mostrate.” E affermava ciò ben sapendo delle sensazionali scoperte di Galilei al telescopio.
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