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I corpi minori sono normalmente divisi in un certo numero di popolazioni, ognuna delle quali ha caratteristiche fisiche o dinamiche proprie. Poiché useremo le denominazioni di queste popolazioni durante tutto il corso, sarà bene definirne i termini fin dall’inizio.
Una prima
classe di oggetti sono le comete, di cui parleremo in questo capitolo.
Una seconda classe è costituita dagli asteroidi, di cui parleremo nei
capitoli successivi, e una terza dai meteoroidi e dal materiale fine
(polvere interplanetaria). Ogni classe si suddivide in sottoclassi che a loro
volta si articolano in ulteriori diramazioni. Lo scopo, come quello di
qualunque tassonomia, è di isolare gruppi di oggetti omogenei per tipologia,
che presumibilmente hanno anche una origine e una storia comuni. Naturalmente
queste classi di oggetti non sono disgiunte, ma considerevolmente sovrapposte:
uno stesso oggetto viene classificato in modi diversi a seconda del punto di
vista da cui lo si sta considerando.
Non entreremo qui nei dettagli riguardanti gli asteroidi e le meteoroidi, a cui sono dedicati altri capitoli. Lo schema di figura 4.1 ha lo scopo di avere subito un quadro generale della classificazione e le varie caselle riportate verranno illustrate man mano che se ne presenterà l’occasione.
Si noterà che vi sono delle frecce che connettono caselle diverse; queste rappresentano dei “canali di comunicazione”, intendendo con questo che le popolazioni unite possono travasarsi l’una nell’altra. Si noterà anche la presenza di due caselle di colore giallo, che rappresentano le fasi finali di alcuni oggetti per quanto riguarda il pianeta Terra. Sono cioè gli oggetti che raggiungono la superficie del nostro pianeta.
Le comete sono definite come tali a causa dei processi fisici che determinano il loro aspetto. Si tratta di corpi minori composti prevalentemente di materiali volatili come il ghiaccio d’acqua; quando si trovano a passare nella regione interna del sistema solare questi materiali sublimano sotto l’azione del calore solare e formano una “chioma” (da cui il nome cometa) e spesso anche una “coda”, formati da particelle di varia grandezza e di varie sostanze, dal ghiaccio alla polvere (vedi la figura 4.2).
Non ci occuperemo qui della fisica delle comete, che è comunque un campo d’indagine appassionante, perché verrà illustrata in un’altra parte del corso. Noi esamineremo invece la dinamica di questi oggetti, che è ugualmente appassionante. Innanzitutto varrà la pena di ricordare qualcosa sull’origine di questi corpi.
I planetesimi nella zona di sistema solare al di fuori dell’orbita di Giove erano di composizione diversa da quelli delle zone più interne. Non si deve certo pensare che la differenza fosse netta; nulla è netto nei processi fisici. La maggiore distanza dal Sole, però, poteva permettere alle sostanze più volatili, come l’acqua e il monossido di carbonio, di mantenersi allo stato solido senza sublimare. Da una composizione prevalentemente rocciosa e metallica, tipica delle regioni più interne, si passava dapprima a materiali contenenti discrete quantità di composti del carbonio – come risulta dall’abbondanza di asteroidi di tipo C nella parte esterna della fascia asteroidale, come vedremo – e infine a composizioni in cui l’acqua solida e altri composti altamente volatili predominavano.
I planetesimi ghiacciati hanno in gran parte dato origine ai pianeti esterni ed ai loro satelliti. Ma non tutti i planetesimi allora presenti sono ora inglobati nei pianeti gioviani. Il processo va visto nella sua evoluzione temporale, che deve aver richiesto alcune centinaia di milioni di anni. Man mano che i pianeti esterni si accrescevano, infatti, aumentava la loro massa, e quindi anche la rilevanza del loro campo gravitazionale. Se da un canto questo aumento di influenza faceva sì che molti più planetesimi finissero per cadere sugli embrioni più grandi – i futuri Giove, Saturno, Urano e Nettuno – d’altro canto il crescente campo gravitazionale di questi pianeti aveva senz’altro un effetto destabilizzante sulle orbite degli stessi planetesimi.
La dinamica di queste fasi è molto incerta. Non sappiamo che frazione dei planetesimi esistenti in quelle epoche abbia contribuito all’effettiva costruzione dei pianeti, né quanti di essi abbiano effettivamente formato i satelliti regolari. Certo, un numero considerevole di planetesimi (quelli che noi adesso chiamiamo comete) fu deviato, nella regione tra l’orbita di Giove e quella di Saturno, o verso le regioni interne del sistema solare o verso quelle esterne, come in un gioco di “biliardo spaziale”.
Quelli inviati verso l’interno non sono sopravvissuti a lungo: infatti le comete di questo tipo, se non vanno ad urtare col Sole o con qualche pianeta, vengono prima o poi ricatturate da Giove o Saturno ed espulse anch’esse verso l’esterno. L’altra possibile fine di questi oggetti è di consumarsi lentamente al calore solare frammentandosi in un gran numero di piccoli corpi.
I meccanismi attraverso i quali le comete, come qualunque corpo di piccola massa in balia dei campi gravitazionali planetari (ad esempio una navicella spaziale), vengono deviate dalla loro orbita verranno esaminati meglio nel seguito. Qui sarà sufficiente dire che i potenti campi dei pianeti esterni sono in grado di inviare un piccolo oggetto come una cometa praticamente dovunque nel sistema solare, ma soprattutto sono in grado di espellere questi oggetti dal sistema, cioè di fornir loro quella quantità di energia che gli necessita per slegarsi dal Sole. Un’interazione gravitazionale stretta (cioè, in pratica, un incontro ravvicinato con un pianeta) può immettere con una certa facilità una cometa su un’orbita iperbolica, o quasi parabolica, così da farla uscire dal sistema solare a vagare tra le stelle. Questo è già stato ottenuto dall’uomo con le sonde Pioneer 11 e 12 e Voyager 1 e 2 (USA).
Le comete espulse da Giove e, in misura minore, da Saturno sono perse per sempre: esse infatti, in massima parte, raggiungono e superano il livello zero dell’energia di legame col Sole. Quelle espulse da Urano e Nettuno, viceversa, hanno una discreta probabilità di avvicinarsi a tale livello ma di non superarlo, cosicché restano legate al Sole sia pur debolmente. Le loro distanze afeliache possono divenire molto grandi, dell’ordine di qualche decina di migliaia di unità astronomiche, e i loro perieli rimanere all’interno della regione planetaria.
L’orbita risultante da un tale processo è molto eccentrica (e 1) e con semiasse tipico di 20.000 - 50.000 UA. Un’orbita siffatta ha un periodo di alcuni milioni di anni e un oggetto che la percorra, in base alla seconda legge di Kepler, spende la maggior parte del suo periodo nelle vicinanze dell’afelio. In tali regioni, però, non è solo l’azione diretta del Sole ad essere importante (quella dei pianeti è comunque trascurabile a quelle distanze). Ogni qualche milione di anni infatti un’altra stella della Galassia può passare vicino alla nostra. Attualmente la stella più vicina al Sole (a della costellazione del Centauro) si trova a 4.2 anni-luce, cioè a circa 260.000 UA. Un passaggio ad una distanza dal Sole minore di 100.000 UA è abbastanza frequente, su scala cosmica.
L’effetto prodotto dalla stella di passaggio sull’ipotetica cometa espulsa da Urano o Nettuno può essere di vario tipo: la cometa può essere definitivamente “strappata” al Sole, oppure la sua orbita può essere resa meno eccentrica. In questo secondo caso la cometa può trovarsi a muovere su una traiettoria di moderata eccentricità a grande distanza dal Sole (tipicamente a 50.000 UA). In queste condizioni i pianeti non possono avere più nessuna influenza sull’orbita della cometa, che può rimanere la stessa anche per miliardi di anni, a meno che un’altra stella di passaggio non provochi l’effetto opposto. La circolarizzazione delle orbite (e l’effetto opposto) può essere ottenuta anche attraverso l’influenza che il campo gravitazionale dell’intera Galassia esercita sulle comete. Sono stati anche proposti meccanismi più “esotici”, ma per il nostro discorso basterà l’esempio dell’incontro con un’altra stella.
Si ritiene che un gran numero di comete abbia subito questo processo: attorno al Sole ci deve essere una nube di circa 1012 comete, detta Nube di Oort, dal nome dell’astronomo Jan Oort che per primo la ipotizzò negli anni ’50 (figura 4.3). Le comete della Nube di Oort, come si è accennato, possono rientrare nella regione planetaria se subiscono perturbazioni di segno opposto a quelle iniziali. In questo caso la cometa, espulsa da Urano o Nettuno all’inizio della storia del sistema solare, rientrerebbe per la prima volta nella regione planetaria e potrebbe avvicinarsi al Sole molto più di quanto potesse all’origine, innescando quei fenomeni fisici che danno origine alla chioma e alla coda.
Se la cometa rientra per la prima volta nel sistema planetario la sua reazione all’irraggiamento solare è cospicua; in tal caso la cometa emette una gran quantità di materiale che la rende molto brillante. Da un punto di vista dinamico si parla di una cometa nuova, per distinguerla da una cometa che abbia già transitato qualche volta nel sistema interno. Questa definizione è dovuta a Oort, e infatti si parla di cometa nuova nel senso di Oort. Una cometa nuova ha caratteristiche dinamiche peculiari: il suo semiasse è molto grande, come pure la sua eccentricità. Se invece del semiasse consideriamo la quantità , che come abbiamo visto è proporzionale all’energia orbitale, troviamo che le comete nuove si raggruppano molto vicino allo zero, che segna la transizione tra comete con orbite iperboliche e comete con orbite ellittiche. Fu proprio la presenza di un picco vicino allo zero nella distribuzione delle energie orbitali a indurre Oort ad ipotizzare l’esistenza della Nube che porta il suo nome.
Le comete che provengono dalla Nube di Oort hanno dunque di norma semiassi ed eccentricità molto grandi, a cui corrispondono periodi orbitali molto lunghi. Noi le chiamiamo perciò comete di lungo periodo (comete LP). Non tutte le comete osservate, però, hanno periodi di milioni di anni; molte, anzi, hanno periodi minori di 10 anni! Da dove vengono, dunque, queste altre comete?
Per lungo tempo si è pensato che la sorgente delle comete di corto periodo (o comete SP ) fosse la stessa di quelle di periodo lungo, cioè la Nube di Oort. I meccanismi attraverso i quali una cometa LP può trasformarsi in una SP sono stati dettagliatamente studiati attraverso simulazioni con i calcolatori, senza un vero successo.
In anni recenti si è però imposta l’ipotesi che esista un secondo (e più popolato) serbatoio di comete situato all’interno della Nube di Oort, la Cintura di Edgeworth-Kuiper. Le comete di questo secondo serbatoio non sarebbero state espulse da Urano e Nettuno (e tanto meno da Giove e Saturno), ma semplicemente sarebbero nate lì, e lì rimaste. Sarebbero, in sostanza, i planetesimi originari nei luoghi originari. Questi planetesimi, essendo molto sparpagliati nello spazio, non avrebbero avuto tempo di dare origine ad alcun pianeta, anche se ora sappiamo che vi sono in quella regione numerosi corpi di dimensioni notevoli. Più di un astronomo ritiene che il “pianeta” Plutone sia in sostanza uno di questi ipotetici oggetti. Questa teoria ha recentemente ricevuto un notevole supporto dalla scoperta di molti “asteroidi” che attualmente orbitano al di là di Nettuno e per questo detti oggetti transnettuniani. Alcuni di questi oggetti sembrano avere dimensioni di un migliaio di chilometri, ma non siamo completamente sicuri della loro orbita effettiva. In molti casi essi si trovano, come Plutone, vicino alla risonanza 3:2 con il periodo orbitale di Nettuno e per questa ragione vengono affettuosamente (ma non “legalmente”) chiamati plutini.
La Cintura di Edgeworth-Kuiper viene vista da molti come la sorgente più probabile delle comete SP. Qualunque sia il loro luogo d’origine, tuttavia, è certo che queste comete hanno avuto – e hanno tutt’ora – una storia dinamica travagliata, avendo sicuramente interagito strettamente con i pianeti giganti per essere state trasferite dove ora si trovano con meccanismi che vedremo subito.
Un’orbita che consenta incontri ravvicinati potenzialmente in grado di cambiarne profondamente i parametri si dice un’orbita caotica. Il nome può far pensare che questo tipo di orbite siano confuse e mutevoli, e certamente è così. Però c’è molto di più: un’orbita caotica (in senso matematico, non semantico) non è predicibile su lunghi archi di tempo, e non perché non si possa “calcolarla”: non è predicibile per sua natura. Un esempio servirà a chiarire il punto.
La cometa P/Gehrels 3 ha avuto un lungo e complicato incontro con Giove attorno al 1970, incontro che l’ha portata da un’orbita completamente esterna ad una completamente interna a quella del pianeta. Questo incontro è mostrato nella figura 4.4; in essa, come nelle successive, l’orbita di Giove è mostrata in neretto e le orbite iniziale e finale della cometa sono marcate con le rispettive date. Si noti la lunghezza dell’arco che porta dall’orbita del 1965 a quella del 1975: esso rappresenta le fasi intermedia e vicina dell’incontro ravvicinato e dura circa 10 anni.
Giovanni B. Valsecchi ed io abbiamo calcolato l’evoluzione futura dell’orbita di P/Gehrels 3, trovando – nei prossimi quattrocento anni – altri tre incontri con Giove, profondi e lunghi come il primo (vedi figura 4.5). Tuttavia solo l’incontro del 2054-2065 è abbastanza sicuro. Infatti la nostra conoscenza dell’orbita attuale della cometa è buona, ma non perfetta. Questa incertezza fa sì che le previsioni dell’incontro del 2060 abbiano un certo margine d’errore, probabilmente valutabile in giorni. Gli esiti dell’incontro del 2060, entro il margine d’errore, differiscono abbastanza e in qualche caso gli incontri successivi semplicemente non hanno luogo. E’ proprio questa una definizione “alla buona” di caoticità: una piccola perturbazione può portare a conseguenze macroscopiche. Vedremo in un’altro capitolo come questa proprietà ci riguardi molto da vicino.
Si pensi ad un pendolo, composto da un peso attaccato ad un’asta rigida. Possiamo, con infinite cautele, porre il pendolo in una posizione di equilibrio “instabile”, col peso in alto. E’ chiaro che una piccola perturbazione farà precipitare il pendolo verso il basso, nella sua posizione di equilibrio “stabile”: una evoluzione catastrofica per il pendolo. Viceversa, se il pendolo è nella posizione di riposo, verso il basso, una piccola perturbazione lo sposterà un poco dalla posizione di equilibrio, verso la quale il pendolo ritornerà subito in maniera dolce e non catastrofica.
Allo stesso modo l’orbita di P/Gehrels 3 può essere vista come un’orbita altamente instabile o, per l’appunto, caotica. Ma ci sono – e se si, quali sono – orbite “stabili”? Seguendo la similitudine del pendolo queste orbite, se leggermente perturbate, non dovrebbero mutare in maniera catastrofica e caotica, ma conservare pressappoco le stesse caratteristiche che avevano prima. Le orbite dei pianeti possono, in buona approssimazione, essere considerate stabili in questo senso[2]. Certo, tutte (anche quella della Terra) variano un poco nel tempo a causa delle perturbazioni mutue, ma le variazioni hanno una piccola ampiezza.
Proviamo allora a disporre nel grafico a-e le orbite delle comete di corto periodo note; questo diagramma, riportato nella figura 4.6, è molto illuminante.
Come si vede, quasi tutte le comete di corto periodo si trovano almeno tra due curve di uno stesso pianeta (in genere Giove). In alcuni casi esse hanno la possibilità di incrociare le orbite di più pianeti, specie se possiedono un’elevata eccentricità. Ad esempio, la cometa indicata con una crocetta (la cometa P/Encke) interseca tutte le orbite dei pianeti interni, da Mercurio fino a Marte (ma non quella di Giove). Viceversa, la cometa indicata con un circoletto vuoto, con eccentricità circa uguale a 0.17 (P/Gehrels 3, che abbiamo già conosciuto) non interseca nessuna orbita, ma la sua disposizione, nella fascia tra Marte e Giove vicino alla curva inferiore di Giove, ne fa un ottimo candidato per catture temporanee come satellite del pianeta, fenomeno che esamineremo in un’altro capitolo.
Un incontro ravvicinato con un pianeta gigante può trasformare un’orbita da tangente nel suo perielio a tangente nel suo afelio. E’ quello che avvenne a P/Gehrels 3 nel 1970, come già mostrato nella figura 4.4. Questo è il primo meccanismo di trasferimento che incontriamo. Grazie ad esso le comete possono essere trasportate da una zona all’altra del sistema solare con una certa facilità, ma sempre ad una condizione: esse ripasseranno sempre dal punto dove è avvenuto l’incontro, se non subiranno perturbazioni che lo impediscano.
Un caso esemplare che illustra quanto detto è quello della cometa P/Oterma. Essa si trovava nella fascia tra Giove e Saturno prima del 1934 (vedi la figura 4.7); un incontro ravvicinato con Giove, tra il 1934 e il 1940, la trasportò nella fascia tra Marte e Giove, più o meno dove si trova ora P/Gehrels 3, e in quell’orbita venne scoperta dall’astronoma finlandese Oterma, nel 1942. La cometa, però, ebbe la ventura di capitare nella fascia tra Marte e Giove con un semiasse corrispondente esattamente alla risonanza 2:3 (parleremo più diffusamente di risonanze nei capitoli dedicati agli asteroidi). Dopo tre periodi della cometa e due di Giove, tra il 1960 e il 1966, si ebbe un altro incontro ravvicinato con Giove, esattamente speculare del primo. La cometa venne “rispedita” nella fascia tra Giove e Saturno, dove si trova tuttora. Il meccanismo degli incontri ravvicinati è molto potente e si pensa che tutte le comete di corto periodo, provenienti dalla Cintura di Edgeworth-Kuiper, siano state trasportate sulle loro orbite attuali in questo modo.
Le comete P/Gehrels 3 e P/Oterma danno la possibilità di ampliare la nostra conoscenza del fenomeno degli incontri ravvicinati. Esse hanno una dinamica molto simile e sono rappresentanti di una interessante classe di oggetti.
Come si vede dalla figura 4.7, i punti che rappresentano la posizione dell’orbita di P/Oterma sul piano a-e sono ambedue esterni alla coppia di curve di Giove. Questo significa che le orbite non sono secanti, ma completamente contenute l’una nell’altra. Tuttavia quei punti non sono neppure molto distanti dalle curve: in questi casi si parla di orbite quasi-tangenti. La loro importanza è notevole.
Come abbiamo visto nel Capitolo 3 il parametro di Tisserand riferito a Giove può essere scritto nella forma
(1)
dove il semiasse è espresso in unità del semiasse del pianeta. Ricordiamo anche che nell’approssimazione di Öpik T è legato alla velocità imperturbata all’incontro dalla relazione
(2)
Se tralasciamo l’inclinazione, possiamo riportare sul piano a-e le curve corrispondenti a vari valori del parametro. Così facendo otteniamo un grafico come quello riportato in figura 4.8. In esso le curve di Giove sono mostrate in grassetto, mentre le curve del parametro di Tisserand (con il relativo valore) sono mostrate a tratto leggero.
Come si vede dalla figura, Il valore T = 3 segue abbastanza bene l’andamento delle curve di tangenza, valori minori di 3 sono per lo più interni alle curve e valori maggiori di 3 completamente esterni. Formalmente, come abbiamo già detto, nell’approssimazione di Öpik T non può essere maggiore di 3, ma nel mondo reale le cose vanno diversamente, ed è proprio questa differenza che ci interessa ora. Ne deriva infatti che le orbite che abbiamo definito quasi-tangenti, come quelle di P/Oterma e di P/Gehrels 3, hanno T > 3 e sono caratterizzate dinamicamente da una velocità relativa all’incontro molto bassa. Sono anche le orbite per le quali si possono avere incontri ravvicinati in cui la fase intermedia gioca un ruolo importantissimo, proprio la fase cioè che non viene tenuta in conto nell’approssimazione di Öpik che quindi non è applicabile in questi casi.
La conseguenza principale causata dalla quasi invarianza del parametro di Tisserand è che le orbite si muoveranno sul piano a-e sostanzialmente lungo le curve di T, cioè l’orbita dopo l’incontro avrà sostanzialmente lo stesso valore di T. Quindi, l’orbita di una cometa verrà sì perturbata dal campo gravitazionale di Giove, ma non potrà andare dove vuole essendo costretta dal valore del parametro di Tisserand. In particolare, le orbite con T > 3 potranno saltare da un lato all’altro delle curve di tangenza in un singolo incontro, che è precisamente quello che abbiamo visto succedere alle due nostre comete in esame. Questo fenomeno dinamico è stato detto transizione.
Nella figura 4.8 si è trascurato il termine dipendente dall’inclinazione nel calcolo del parametro di Tisserand. Ma un incontro ravvicinato può benissimo avere, tra gli altri effetti, una drastica variazione d’inclinazione. Poiché questa entra nella formula (1) col coseno, se l’inclinazione aumenta il termine di destra diminuisce. Per mantenere costante T, allora, devono variare sia a che e. La variazione è piuttosto complicata nella forma, e non esiste nessuna formulazione analitica del problema; l’unica approssimazione utile è il metodo di Öpik che però non vale per orbite quasi-tangenti.
Riassumendo, possiamo descrivere la popolazione cometaria nel seguente modo.
Le comete di lungo periodo vengono dalla Nube di Oort. Esse sono immesse su orbite con basso perielio da incontri con stelle di passaggio o da altri meccanismi come le maree galattiche. Se la nuova orbita interseca quella di qualche pianeta gigante si può avere un incontro ravvicinato che, mantenendo quasi costante il valore del parametro di Tisserand rispetto a quel pianeta, può far “scivolare” la cometa verso bassi valori del semiasse. Un caso tipico di questo genere è la cometa P/Halley. Il suo valore di T è minore di zero perché la cometa è retrograda (cioè con inclinazione maggiore di 90°). Tuttavia, come sappiamo, il suo periodo è di 76 anni e quindi P/Halley è classificata come cometa di corto periodo. In realtà comete come P/Halley che sicuramente derivano dalla Nube sono anche chiamate, con poca fantasia, di tipo Halley e rappresentano la coda verso i brevi periodi delle comete di lungo periodo. Sono caratterizzate da grandi eccentricità e spesso da grandi inclinazioni, segno che le orbite originarie erano distribuite isotropicamente in inclinazione (come dovrebbero essere le orbite delle comete della Nube).
Le comete di corto periodo in senso stretto (cioè non di tipo Halley) derivano dalla Cintura di Edgeworth-Kuiper. A seguito di piccole perturbazioni esse possono cadere sotto l’influenza gravitazionale di Nettuno, che può trasportarle, con il meccanismo della transizione, verso le orbite dei pianeti più interni. Una serie successiva di incontri ravvicinati può alla fine portare questi oggetti sotto il controllo di Giove, che a sua volta le può far giungere nella zona dei pianeti interni. Si tratta quindi di un’azione cumulata dove intervengono numerosi passaggi e non abbiamo nessuna speranza, data la caoticità delle orbite e l’intervento di forze non gravitazionali, di ricostruirne il passato. Le comete di corto periodo, durante il trasporto verso l’interno, possono “soggiornare” per un certo periodo nella zona tra Giove e Urano, nel qual caso prendono il nome di Centauri, come abbiamo visto. Quando infine sono cadute sotto il diretto controllo di Giove sono dette comete della famiglia di Giove. Quasi tutte le comete di corto periodo note sono della famiglia di Giove.
Vedremo ancora altre proprietà di questi meccanismi gravitazionali che sono in grado di trasportare materiale in tutto il sistema solare.
Le comete vengono dette di 'corto periodo' se questo è inferiore ai 200 anni. Esse vengono distinte dalle altre premettendo al loro nome la sigla 'P/', che sta per 'periodica': così le indicheremo nel seguito.
In realtà si è dimostrato che le orbite planetarie sono caotiche, ma in maniera diversa da quella delle orbite cometarie. Quel che più conta è che la caoticità delle orbite planetarie si manifesta su tempi estremamente lunghi, comparabili con la vita stessa del sistema solare, e non produce variazioni 'catastrofiche'.
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