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Le leggi della dinamica e la legge di gravità

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Le leggi della dinamica e la legge di gravità

Forza e massa

Bisogna fare adesso un salto avanti di vent’anni. Non è che Newton sia stato inattivo tra il 1664 e il 1684, tutt’altro, ma sarebbe troppo lungo illustrare il cammino a volte tortuoso che le sue ricerche assunsero. Il cammino portò Newton in molti territori inesplorati, alcuni dei quali, come l’alchimia, francamente sorprendenti. In ogni sua attività, tuttavia, Newton profuse un impegno impressionante. L’argomento oggetto del suo interesse lo assorbiva completamente, facendogli trascurare tutto ciò che non fosse ad esso direttamente collegato. Egli tuttavia non dimenticava nulla di quello che aveva già realizzato e fu sui suoi studi di matematica, svolti principalmente tra il 1664 e il 1666, che egli infine costruì la dinamica. Nel ventennio tra il 1664 e il 1684, tuttavia, produsse alcune teorie e anche innovazioni tecniche assolutamente stupefacenti. E’ fondamentale la sua teoria sui colori, teoria corpuscolare che formò la base dello sviluppo di Einstein sui fotoni e sulle basi della fisica quantistica; sulle sue teorie di ottica egli fu in grado di “costruire” nel vero senso della parola, disegnando e fabbricando il primo telescopio “riflettore”, molto più compatto e facile da costruire dei rifrattori di Galileo. Newton inventò anche una speciale montatura per il telescopio, montatura da lui detta newtoniana. Gran parte dei telescopi odierni sono riflettori di derivazione newtoniana e con montatura newtoniana.



La maggior opera di Newton, i Philosophiae naturalis principia mathematica, fu sottoposta nel 1686 alla Royal Society, di cui Newton era divenuto membro, e pubblicata l’anno successivo. Secondo quanto dice il titolo si tratta di un’opera matematica, non fisica. Newton espose in essa le sue concezioni di dinamica come un sistema ipotetico-deduttivo tipicamente matematico. Dapprima definì i termini, quindi formulò degli assiomi e infine trasse da essi le logiche (e matematiche) conseguenze. Tuttavia i Principia contengono una “summa” del pensiero fisico newtoniano che vale la pena di esaminare, a cominciare dalla ridefinizione dei concetti di forza e massa. Ambedue i concetti sono fondamentali per la comprensione della gravitazione ed essi furono precisati da Newton proprio allo scopo di descrivere con chiarezza la gravità: la loro concezione è quindi inscindibilmente legata allo sviluppo della teoria gravitazionale.

Il dibattito sulle cause del moto dei pianeti era andato molto avanti dal tempo di Kepler. Tutti i maggiori astronomi concordavano sul fatto che essi si muovessero attorno al Sole (Copernico aveva definitivamente vinto), ma non tutti erano d’accordo su come questo moto fosse generato e mantenuto. Abbiamo visto che Kepler aveva tentato un abbozzo di teoria senza un grande successo. La sua “anima motrix” decresceva d’intensità al crescere della distanza dal Sole in maniera inversamente proporzionale, poiché Kepler pensava che la sua azione si svolgesse solo lungo la congiungente Sole-pianeta e solo nel piano orbitale. Già nel 1645 Boulliau aveva respinto questa teoria, facendo semplicemente notare che una tale forza si sarebbe dovuta propagare in tutto lo spazio, non solo in un piano, e quindi avrebbe dovuto variare con l’inverso del quadrato della distanza[1]. Tra i contemporanei di Newton che stavano studiando attivamente il problema vi erano Robert Hooke, Edmond Halley, John Wallis, Christopher Wren e altri. Hooke aveva sostenuto con Halley e Wren di essere in possesso di una prova matematica del fatto che i moti planetari potessero essere dedotti da una legge sull’inverso del quadrato della distanza, ma non fu mai in grado di produrla.

Fu Newton a compiere il gran passo. Fu lui a ritenere che l’attrazione astronomica e la gravità terrestre fossero alla fine la stessa cosa (è la famosa quanto fantasiosa storia della mela). Newton suppose che alcune proprietà dei corpi non variassero al variare della loro posizione e così facendo operò per la prima volta una chiara distinzione tra il peso (che dipende dalla distanza dalla sorgente d’attrazione) e la massa. Non usò però quest’ultimo termine quanto quello, usatissimo ancora oggi, di “quantità di materia”. Che la massa e il peso non fossero la stessa cosa era per la verità già stato notato da Kepler e Galileo, ma Newton ne dette una giustificazione esplicita e rese quello di massa uno dei concetti cardine della dinamica.

Dalla definizione di massa come “quantità di materia” alla definizione del momento (il prodotto della massa per la velocità) come “quantità di moto” il passo fu breve, finché si giunse alla definizione di forza come tasso di variazione nel tempo del momento, in breve la sua derivata. Tutto sembrava semplice e naturale, ma va tenuto presente che questo risultato così elegante e convincente non sarebbe stato possibile senza il principio d’inerzia di Galileo, come vedremo subito.

Le leggi della dinamica

Il termine forza (vis) compare per la prima volta nella Definizione III dei Principia:

“La vis insita [ovvero la forza innata] della materia è una potenza di resistere grazie a cui ciascun corpo, per quanto è in sé [quantum in se est], persevera nel proprio stato di quiete o di moto uniforme in linea retta”

Questa definizione si riferisce naturalmente all’inerzia, che viene qui concepita come una “forza” interna al corpo, grazie alla quale il corpo si oppone alle variazioni del suo stato di moto. Questa stessa forza che qui viene vista come resistenza passiva può però essere anche attiva qualora l’oggetto sia in moto e venga in contatto con un altro corpo: in questo secondo caso diviene un “impulso”. D’altra parte lo stesso Newton ammetteva che i due casi non erano distinguibili a causa del principio di relatività galileiana.

La Definizione III andrebbe confrontata con un’analoga definizione data da Descartes: ”Prima legge della natura: che ogni cosa, per quanto è in sé [quantum in se est], perseveri sempre nello stesso stato.” Come si vede Newton e Descartes usano la stessa espressione latina (quantum in se est), ma con un significato profondamente diverso; per Descartes si tratta dell’estensione del corpo, dello spazio occupato (che coincideva con la materia), mentre per Newton si tratta della materia stessa: l’inerzia newtoniana è proporzionale alla quantità di materia, cioè alla massa, del corpo.

Un secondo tipo di forza, la “forza impressa”, è illustrata nella Definizione IV come “un’azione esercitata su un corpo al fine di modificare il suo stato”. Non è la stessa cosa della “forza innata”, perché cessata l’azione cessa anche la forza, mentre l’inerzia resta.

Un terzo, e ultimo, tipo di forza è mostrato nella Definizione V: “E’ una forza centripeta quella da cui i corpi sono trascinati o forzati o comunque spinti a tendere verso un punto come verso un centro.” Perché Newton, che esplicitamente indicava la forza centripeta come origine della forza impressa, dedicò a questa uno status particolare? Perché lo fece per la forza centripeta e non, ad esempio, per la pressione o la percussione, che pure erano origine di forza impressa? La risposta ce la dà lo stesso Newton in maniera semplice e chiara: egli afferma, dopo aver definito la forza centripeta, “di questa sorta è la gravità”.

E’ giunto allora il momento di riportare gli enunciati delle famose tre “leggi” di Newton:

Legge I: Ogni corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, a meno che non sia costretto da forze impresse a mutare questo stato.

Legge II: La variazione del moto è proporzionale alla forza motrice impressa, e si verifica lungo la linea retta lungo cui questa forza viene impressa.

Legge III: Ad ogni azione corrisponde sempre una reazione opposta ed uguale; ovvero le azioni mutue tra due corpi sono sempre uguali e dirette in senso contrario.

Le tre leggi vengono normalmente anche chiamate: Principio d’inerzia, Legge fondamentale, e Principio d’azione e reazione; le prime due sono attribuite dallo stesso Newton a Galileo e a Huygens.

E’ bene ricordare che nei Principia queste leggi sono date come assiomi, cioè come proposizioni assunte vere e non dimostrate. Da esse, però, è possibile dedurre per via matematica, usando il calcolo differenziale, l’intero edificio della dinamica e giustificare quantitativamente tutti i moti possibili. E’ il trionfo del programma galileiano di matematizzazione della descrizione della natura, è l’inizio del meccanicismo e del sogno di Laplace di giustificare tutto l’esistente in forma di meccanica e dinamica newtoniane. E’ infine il vero atto di consacrazione della scienza moderna.

La legge di gravità

La legge di gravitazione universale contenuta nei Principia è solo il punto d’arrivo di un lunghissimo cammino. Alla sua costruzione presero parte in misura ugualmente importante molti studi che Newton aveva intrapreso (e mai finito) in più di vent’anni. Ma forse non sarebbe mai stata pubblicata se non fosse intervenuto Edmond Halley. Nel 1684 questi andò a trovare Newton a Cambridge e gli chiese quale forma avrebbe avuto la traiettoria dei pianeti se la forza di attrazione del Sole fosse stata inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Come abbiamo visto il problema era sul tappeto e molti, tra cui Hooke e Wren, sostenevano che questa era la soluzione, ma non erano in grado di dimostrarlo. Alla richiesta di Halley Newton rispose senza esitazione che la curva risultante sarebbe stata un’ellisse. Come faceva a saperlo? gli chiese Halley sorpreso. “Beh, l’ho calcolato” fu la risposta.

Newton l’aveva effettivamente calcolato, come risulta dai suoi appunti, ma non l’aveva mai pubblicato. Nel novembre del 1684 Halley ricevette da Newton un piccolo trattato di sole nove pagine. In esso si dimostrava che un’orbita ellittica comporta l’esistenza di una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza e agente in uno dei fuochi, ma estendeva questa proprietà in maniera molto generale: data una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza l’orbita risultante doveva essere una conica, un’ellisse se la velocità era inferiore ad una data quantità (che noi oggi chiamiamo velocità parabolica). Newton aveva di colpo dimostrato tutte le leggi di Kepler, basandosi su principi di dinamica e su metodi matematici che non erano mai stati pubblicati.

E’ nota la lentezza con cui Newton rispose ai ripetuti appelli di Halley di scrivere un trattato completo sulla dinamica e sulla gravitazione, trattato che vide la luce solo nel 1687. Eppure la rivoluzione contenuta in quel trattato non era meno profonda di quella contenuta nel libro di Copernico di 144 anni prima. Ma Newton era una persona abbastanza peculiare e non era mai veramente soddisfatto di quello che faceva perché ne vedeva gli sviluppi possibili ed era preso dall’ansia di procedere oltre. E’ una tentazione abbastanza comune nel mondo scientifico, che porta molti brillanti ricercatori a pubblicare poco e raramente; la curiosità di vedere “come va a finire” è più forte della soddisfazione di mostrare ai colleghi i propri risultati, anche se temporanei.

La legge di gravitazione fornita da Newton, espressa in forma moderna, è:

dove G è una costante (costante di gravità), m e M sono le masse dei due oggetti e r è la distanza reciproca.

Non insisteremo oltre sulla formulazione matematica, che è molto semplice, né sui processi di pensiero che portarono Newton a questa formulazione. Ci soffermeremo invece su alcune conseguenze e su alcuni problemi che la legge di gravità pone, e pose allo stesso Newton.

Massa inerziale e massa gravitazionale

Kepler aveva affermato nel De causis planetarum: “L’inerzia, che si oppone al moto, è una caratteristica della materia, ed è tanto più forte quanto maggiore è la quantità di materia in un certo volume.” E’ questa, in sostanza, la definizione di massa inerziale, la stessa che darà poi Newton. La massa inerziale è una misura della “vis insita”, o almeno le è proporzionale. E’ la capacità, insita in tutti gli oggetti e dipendente dalla loro quantità di materia, di opporsi al moto. E’ la quantità che compare nel principio d’inerzia.

Ma è la stessa “massa” che compare nella legge di gravità? La risposta è: No.

Certo, l’inerzia è una caratteristica della materia e così è anche la capacità di generare una forza d’attrazione. Ma la materia ha tante proprietà: ha un colore, ha una densità, ha un’estensione… chi ci garantisce che la qualità che noi chiamiamo “inerzia” sia la stessa qualità che chiamiamo “gravità”? Come facciamo ad essere sicuri che la m che compare in sia “la stessa” che compare in ?

La soluzione, nello schema newtoniano, non c’è. Bisognerà aspettare più di 200 anni perché la questione venga risolta da Einstein.

Azione a distanza

C’è un aspetto della teoria della gravitazione che lo stesso Newton guardava con sospetto. La forza d’attrazione generata da una massa (gravitazionale) agiva in tutto lo spazio circostante, con raggio d’azione infinito, indipendentemente dal fatto che quello spazio fosse “pieno” o “vuoto”. Era una conclusione sorprendente, perché nessuna azione conosciuta si trasmetteva a distanza senza un mezzo frapposto. Si è già detto che questo era proprio il motivo della grande avversione di Aristotele verso il vuoto, una situazione in cui sarebbe stato impossibile trasmettere qualunque azione.

Newton, come molti suoi contemporanei (e parecchi successori) fu tentato dall’idea di un “etere” che veicolasse l’attrazione gravitazionale. Tuttavia dovette arrendersi all’impossibilità di trattare un simile mezzo con le tecniche matematiche di cui disponeva. Rimase quindi il problema, e tanto da lui sentito da portarlo alla celebre conclusione contenuta alla fine del libro III, nello Scolio generale:

“Fino ad ora abbiamo spiegato i fenomeni del cielo e del nostro mare mediante il potere della gravità, ma non abbiamo ancora assegnato una causa a questo potere…Non sono ancora stato capace di scoprire la causa di queste proprietà della gravità a partire dai fenomeni, e non intendo escogitare ipotesi [hypotheses non fingo]; infatti tutto ciò che non è dedotto dai fenomeni dev’essere chiamato ipotesi; e le ipotesi non hanno posto nella filosofia sperimentale, siano esse metafisiche oppure fisiche, si riferiscano a qualità occulte o a qualità meccaniche. In questa filosofia proposizioni particolari vengono inferite dai fenomeni, e sono poi generalizzate per induzione…Ed è per noi sufficiente che la gravità esista realmente, e che agisca secondo le leggi che noi abbiamo spiegato, e che serva ampiamente a rendere ragione di tutti i moti celesti e del nostro mare.”

Anche questo problema, di una forza miracolosa che si trasmette nel vuoto istantaneamente, deve aspettare parecchio per essere affrontato in maniera completa, e infine risolto. Bisognerà aspettare le teorie dei campi che trasferiscono allo stesso spazio le proprietà “miracolose” dei corpi.

Spazio e tempo assoluti

Lo spazio. Un concetto strano eppure così familiare. E il tempo, altro concetto difficile da definire in termini sperimentali. Avete mai riflettuto su come vengano misurati lo spazio e il tempo? Per il primo si usano regoli, squadre o altri strumenti che, ripetutamente giustapposti, diano una “misura” dello spazio (ma certo non dicono cos’è). Quando, durante la rivoluzione francese, Delambre e Méchain vennero incaricati di misurare il meridiano terrestre, per fornire la base di misura da cui sarebbe derivato il “metro” e il sistema metrico decimale, si impiegò proprio questo metodo. Il 24 aprile 1798, alle 11 del mattino, una squadra posò il primo dei regoli ad alta precisione sulla linea base scelta per le triangolazioni, un tratto rettilineo della strada maestra del re nei pressi di Melun, oggi conosciuta come autostrada N6. I regoli erano quattro, ognuno della dimensione di due tese di lunghezza (pari a 3.6 metri). Erano fatti di platino puro, erano stati tarati uno per uno ed erano posti in un manicotto di legno accanto ad una lista di rame, cosicché la relativa espansione potesse essere letta con precisione micrometrica. Le esigenze della rivoluzione hanno il loro costo! I regoli venivano messi in posto da Bellet e venivano allineati e livellati da Tranchot. Delambre leggeva la temperatura per poter calcolare la dilatazione termica e tutti e tre riportavano i dati sui loro quaderni. Una volta che tutti e quattro i regoli fossero stati sistemati si toglieva il primo, che veniva giustapposto al quarto, e la procedura ricominciava. Il meridiano terrestre è stato davvero misurato con dei regoli!

Quanto al tempo ci si potrebbe chiedere quale misura mai si riferisca davvero al “tempo”. Gli orologi antichi facevano affidamento sulle ombre del Sole (misuravano quindi delle posizioni), oppure contavano sull’acqua raccolta in una bacinella (misure di volume, se non di peso) o sulla sabbia raccolta in un recipiente (ancora misure di volume). Poi vennero gli orologi meccanici, che misuravano in realtà angoli, distanze, ed altre quantità che potevano indicare il trascorrere del tempo, ma non misurarlo. La realtà è che il tempo è un concetto astratto e non una grandezza fisica: è la nostra soggettiva percezione del cambiamento che genera il tempo. Naturalmente ben presto si giunse a formalizzare questa “esperienza soggettiva” in una “grandezza oggettiva”, che scorreva uniformemente per tutti. Ma “il tempo” in quanto tale non esiste.

Purtroppo però Newton si accorse, come altri prima di lui, che non poteva fare a meno dello spazio e ancor meno del tempo. Abbiamo visto che la necessità di descrivere la velocità istantanea come il rapporto (infinitesimo) tra spazio percorso e tempo impiegato a percorrerlo avesse di fatto promosso la “variabile tempo” a chiave di volta della dinamica. Tutto dipende dal tempo: la velocità è la derivata dello spazio rispetto al tempo, così come l’accelerazione è la derivata della velocità rispetto al tempo. Ma uno spazio e un tempo aleatori non potevano essere di grande utilità ed è per questo che Newton pervenne alla sua concezione di Tempo Assoluto e Spazio Assoluto. Essi sono il Tempo (Spazio) Vero, Matematico, che uniformemente scorre e non dipende affatto da quello che contiene. Sono un “frame”, una cornice in cui avvengono le vicende oggetto dell’esperienza, ma non partecipano a queste vicende.

Il concetto di Spazio (e Tempo) come “scatola vuota” che contiene i fenomeni ha dato molto alla scienza, perché ha permesso di descrivere i fenomeni in un riferimento – diciamo così – uniforme per tutti e in ogni luogo e tempo. Ma ha dei difetti e questi alla fine sono venuti al pettine. Ma questa è un’altra storia.



Boulliau non fu un precursore della teoria newtoniana. La sua critica non si rivolgeva tanto all’aspetto tecnico, quanto all’interpretazione della forza. Secondo Boulliau la variazione di velocità era semplicemente un fatto naturale deciso dal Divino Architetto, che non richiedeva spiegazione.



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