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Il campo gravitazionale associato ad una massa, ad esempio il Sole, può essere descritto come una rete deformata dalla presenza della stella, in modo da dare l’immagine di un pozzo. Cosa succede ad un oggetto che da distanza infinita si avvicini al Sole (figura 2.1)? Finché è lontano, la deformazione dello spazio è impercettibile, e l’oggetto sembra muoversi in modo uniforme (ma una misura precisa mostrerebbe che sta lentamente accelerando). Man mano che si avvicina alla sorgente del campo, però, la sua velocità aumenta sempre più, e l’oggetto “cade” nella buca[1]. Seguendo quindi una traiettoria curva, l’oggetto si porterà ad una distanza minima dal Sole, dove la sua velocità sarà massima, per poi cominciare di nuovo ad allontanarsi. Ora però l’oggetto dovrà “risalire” le pareti della buca, il che produrrà una diminuzione anziché un aumento di velocità e il corpo rallenterà sempre più seguendo una traiettoria sempre meno incurvata; a grande distanza sembrerà di nuovo muoversi di moto rettilineo ed uniforme.
In geometria la curva descritta da un tale oggetto viene detta iperbole ed è uno dei quattro tipi di sezioni coniche (cioè una delle quattro curve che si ottengono tagliando un cono con un piano ad angoli diversi rispetto all’asse del cono). Le altre tre coniche sono, com’è noto, la parabola, l’ellisse e il cerchio. Come vedremo più avanti, Newton dimostrò, impiegando il calcolo differenziale, che un oggetto immerso in un campo gravitazionale si muove sempre lungo una conica. La sua traiettoria viene detta orbita. Ma cosa distingue un’orbita dall’altra o in altre parole quali parametri ci informano sul tipo di orbita descritta da un corpo?
Per rispondere a questo interrogativo dobbiamo esaminare un concetto fisico della massima importanza: l’energia di legame. Essa indica quanto un oggetto è “legato” ad un altro: corrisponde al lavoro necessario a portare i due oggetti a distanza infinita l’uno dall’altro, cioè a slegarli. Un pianeta che gira attorno al Sole è legato ad esso, cioè non può sfuggire, a meno che non gli si fornisca energia sufficiente a slegarsi. Così un razzo che parte dalla Terra necessita di un motore che fornisca energia per vincere il campo gravitazionale terrestre (per “risalire la buca”); solo un motore abbastanza potente e costoso può spezzare il legame tra Terra e razzo e permettere a quest’ultimo di vagare per il sistema solare. L’energia di legame può essere negativa o positiva: nel primo caso gli oggetti sono legati, nel secondo slegati. Un’energia di legame nulla indica il punto di transizione tra stati legati e stati slegati.
Un’analisi dei vari tipi di conica mostra che un oggetto su orbita circolare o ellittica ha un’energia di legame rispetto al Sole negativa: queste orbite sono caratteristiche di oggetti legati. Viceversa, un oggetto su orbita iperbolica ha un’energia di legame positiva, e quindi è slegato. Un’orbita parabolica, con energia di legame nulla, rappresenta la transizione tra stati legati (ellissi) e stati slegati (iperboli). Effettivamente, possiamo pensare a un’ellisse come a un cerchio deformato e a una parabola come il limite che si ottiene “stirando” un’ellisse, fino ad aprirla.
La parabola e l’iperbole sono curve aperte, mentre cerchio ed ellisse sono curve chiuse. Un oggetto su orbita iperbolica o parabolica viene da distanza infinita e va a distanza infinita, senza mai passare due volte per lo stesso punto. Invece un oggetto su orbita circolare od ellittica ripercorre periodicamente lo stesso cammino: queste orbite si dicono allora periodiche, e il tempo necessario a “fare un giro” si dice periodo orbitale. Quanto detto finora si applica a un sistema di soli due oggetti, come Sole e pianeta o pianeta e satellite. Nel caso che i corpi siano più di due (il cosiddetto “problema a n corpi”) le cose si complicano notevolmente.
L’orbita di un oggetto attorno al Sole è univocamente determinata quando si conosca lo stato di moto dell’oggetto, cioè siano noti ad un dato istante la sua posizione e la sua velocità in un dato sistema di riferimento spaziale. E’ quindi necessario conoscere, oltre al tempo, altre sei quantità: le tre coordinate spaziali (x, y, z) e le tre componenti della velocità lungo gli assi coordinati (vx, vy, vz). Purtroppo però sia la posizione sia la velocità cambiano continuamente e la loro determinazione in funzione del tempo è possibile, ma non esattamente banale. Invece l’orbita e la sua orientazione nello spazio non variano nel tempo (in un sistema a due corpi). Le sei quantità necessarie a descrivere il moto di un oggetto sono quindi state trasformate in sei parametri orbitali molto più agevoli da maneggiare e costanti (tranne uno) nel tempo. Esamineremo qui brevemente il loro significato (figura 2.2).
1) Il semiasse maggiore, a: è pari – come dice il nome – alla metà dell’asse maggiore di un’orbita ellittica. Se l’orbita è circolare il semiasse è naturalmente uguale al raggio. Spingendo il ragionamento al limite si vede che nel caso della parabola (pensata come un’ellisse allungata all’infinito) il semiasse tende all’infinito. Il semiasse orbitale è estremamente importante, perché si dimostra essere inversamente proporzionale, e di segno opposto, all’energia di legame. Un semiasse piccolo corrisponde quindi ad un’energia fortemente negativa, cioè ad un’orbita molto legata. Il semiasse infinito della parabola corrisponde ad energia nulla, come detto, mentre per un’iperbole il semiasse assume convenzionalmente segno negativo (ma è chiaro che, per curve aperte, il semiasse non ha più il senso comune di una lunghezza).
2) L’eccentricità, e: indica lo “schiacciamento” di un’ellisse. L’eccentricità è nulla per il cerchio; varia tra 0 e 1 per l’ellisse (indicando appunto quanto è schiacciata); è uguale a 1 per la parabola e maggiore di 1 per l’iperbole.
Semiasse ed eccentricità assieme indicano quindi il tipo e la forma della conica. Il Sole si trova in un fuoco della conica (che coincide col centro nel caso del cerchio). Da a ed e è possibile calcolare le distanze minima e massima dal Sole, nel caso di un’orbita periodica. Queste distanze – rispettivamente la distanza perieliaca e la distanza afeliaca - sono uguali ad a(1-e) ed a(1+e). E’ chiaro quindi che a parità di semiasse, cioè di energia, più l’eccentricità si avvicina a 1, più la distanza perieliaca è piccola (cioè il corpo passa molto vicino al Sole).
3) L’inclinazione, i. Supponiamo di aver stabilito una terna di riferimento spaziale con origine nel Sole (cioè nel fuoco dell’orbita). L’orbita del nostro oggetto giacerà su un piano (piano orbitale) in genere non coincidente con nessuno dei piani coordinati. L’inclinazione è l’angolo tra il piano orbitale e il piano xy. Nel sistema solare si assume quasi sempre come piano xy quello che contiene l’orbita terrestre in un istante fissato: dal 1991, per decisione dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU), si è assunto come piano xy di riferimento il piano orbitale della Terra alle ore 00:00 del primo gennaio 2000 (riferimento J2000).
Semiasse, eccentricità e inclinazione sono i tre parametri orbitali più importanti che forniscono tipo, forma e inclinazione dell’orbita. Altri due parametri, l’argomento del perielio e la longitudine del nodo ci dicono come è orientata l’orbita sul piano orbitale. Il sesto parametro è il tempo del passaggio al perielio t che fornisce la posizione dell’oggetto lungo l’orbita in un dato istante, collegando quindi l’orbita dell’oggetto alla sua “storia”.
Gli elementi orbitali non sono fissi nel tempo a causa delle perturbazioni esercitate dai corpi presenti. Proviamo ad immaginare cosa accade ad un oggetto piccolo (per esempio una sonda spaziale) che vaghi per il sistema solare. Esso sentirà soprattutto l’influsso del Sole, ma la sua orbita non sarà costante nel tempo come nel problema a due corpi (Sole e sonda). Il campo gravitazionale di Giove, pur essendo originato da una massa pari solo a un millesimo di quella solare, è notevole e disturba l’orbita dell’oggetto in maniera significativa. I parametri orbitali non saranno quindi costanti nel tempo, ma varieranno in modo molto complesso e – in linea di massima – imprevedibile. Tutto quello che possiamo dire è che “ad un dato istante” (normalmente detto l’epoca) l’orbita sarà descritta da un insieme di sei quantità che prendono il nome di parametri orbitali osculanti. La dinamica è il regno della variabilità e il cielo che ci sovrasta è tutt’altro che immoto.
Esistono naturalmente formule di trasformazione tra coordinate e velocità da un lato e parametri orbitali dall’altro e viceversa (vedi oltre). Con esse abbiamo tutti i mezzi necessari per predire il moto di un qualunque oggetto del sistema solare e quindi, proiettando questo moto sulla sfera celeste come è vista dalla Terra, per predirne il suo percorso apparente (cioè tracciarne le effemeridi). Questa ricerca, cominciata con i primi sacerdoti-astronomi molte migliaia di anni fa, è ora definitivamente conclusa per quanto riguarda la comprensione generale dei moti celesti. Tuttavia, molti aspetti sottili di questa problematica sono ancora oggetto di studi.
Anzi, sono necessarie per capire meglio. Gli sviluppi analitici che seguono (tratti dal famosissimo e sempre valido Textbook on Spherical Astronomy di W.M. Smart, Cambridge University Press) mostrano come sia possibile derivare le leggi di Kepler dalla legge di gravitazione di Newton e forniscono comode formule di passaggio da parametri orbitali a coordinate cartesiane e viceversa.
Siano S e P le posizioni del Sole e di un pianeta ad un dato istante rispetto ad una terna di assi coordinati (X,Y,Z . Siano poi M e m le rispettive masse. Per la legge di gravità di Newton abbiamo allora che il Sole in S attrae il pianeta in P con una forza
dove r è la distanza SP
La componente della forza di gravità nella direzione positiva dell’asse X è data da
, cioè
Se ora indica l’accelerazione del pianeta nella direzione X, la Legge Fondamentale (la seconda legge di Newton) ci dice che
(1)
Per la terza legge di Newton (azione e reazione) il Sole sarà soggetto ad una accelerazione analoga ma opposta:
(2)
Dividendo ora la (1) per m e la (2) per M e sottraendo l’una dall’altra
Due analoghe relazioni si hanno per Y e Z
Scriviamo ora x = X - X1, y = Y – Y1, z = Z – Z1 La terna (x,y,z) denoterà quindi il sistema di riferimento con origine nel Sole S. Ponendo anche m G(M + m) otteniamo le equazioni
(3)
Le (3) sono le equazioni del moto del pianeta P rispetto al Sole S. Moltiplichiamo ora la seconda delle (3) per z e la terza per y e sottraiamo. Otteniamo , cioè , che integrata fornisce
(4)
dove A è una costante d’integrazione. Similmente si ottiene
(5)
e
(6)
Moltiplichiamo ora le (4), (5) e (6) rispettivamente per x y e z e sommiamo. Si ottiene
(7)
che è l’equazione di un piano passante per l’origine (dove si trova il Sole). Questo piano è il piano orbitale del pianeta.
Supponiamo ora che il piano xy coincida col piano orbitale, cosicché la componente z sia sempre nulla: la terza delle (3) scomparirà. Trasformando le due coordinate cartesiane in coordinate polari r e J, otteniamo:
, , (8)
dove r è la distanza del pianeta dall’origine (il raggio-vettore) e J l’angolo tra l’asse x (che in genere non coincide con l’asse maggiore) e il raggio-vettore.
Denotiamo con e rispettivamente le componenti dell’accelerazione lungo SP e nella direzione perpendicolare. Sarà
, (9)
Ora, derivando le (8) due volte rispetto al tempo e sostituendo nella prima delle (9), si ha . Inoltre , da cui infine
(10)
Con una procedura del tutto analoga otteniamo, dalla seconda delle (9),
(11)
dove h è una costante d’integrazione. La (11) non è altro che la legge delle aree, la seconda legge di Kepler.
Per ottenere l’equazione del cammino del pianeta attorno al Sole eliminiamo il tempo dalle (10) e (11) procedendo nel seguente modo. Poniamo
cosicché la (11) diviene
(12)
Ora
e
cosicché
(13)
Inoltre, usando la (12), (14)
Ora, attraverso le (13) e (14), l’equazione (10) può essere riscritta come
cioè
(15)
La soluzione generale della (15) è data da
(16)
dove e e w sono le due costanti d’integrazione. La (16) può anche essere scritta come
(17)
che è l’equazione di un’ellisse se consideriamo
(18)
ed e coincidente con l’eccentricità orbitale. La (17), quindi, non è altro che la prima legge di Kepler. In realtà, l’equazione (17) rappresenta qualunque conica, a seconda del valore dell’eccentricità:
Ora, la costante h contenuta nella (11) (e nella 17) è pari al doppio dell’area dell’ellisse descritta in un certo tempo: essa rappresenta il momento angolare del pianeta. Sia infatti r la distanza del pianeta dal Sole al tempo t, quando il pianeta è ad un angolo J dal Sole, e r + Dr quella al tempo t + Dt, l’angolo essendo ora J DJ L’area del piccolo settore ellittico descritta, che può essere assimilato ad un triangolo, è
, che può essere approssimata come . Dividendo per Dt e passando al limite per Dt tendente a zero otteniamo proprio l’equazione (11) divisa per 2. In particolare, quindi, h sarà uguale al doppio dell’area totale dell’ellisse, descritta in un intero periodo T. Ma l’area di un’ellisse è pab, dove b è il semiasse minore dato da . Allora
(19)
Chiamiamo n la velocità angolare media del pianeta. In un intero periodo sarà dunque , per cui la (19) diviene
da cui si deriva, ricordando la (18)
(20)
Data la definizione di moto medio, si vede subito che la (20) non è altro che la terza legge di Kepler.
Attenzione, non c’è nessuna buca “fisica”: è un’immagine utile per ragionare e basta. La “buca” riguarda una grandezza che si chiama potenziale.
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