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Sciami e meteoroidi

fisica



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Sciami e meteoroidi

La componente “minuta”

Tutti i corpi minori del sistema solare “perdono pezzi”. Con questa poco elegante affermazione si intende dire che gli asteroidi e le comete sono soggetti ad una erosione che li consuma. Non si tratta ovviamente di una erosione come siamo abituati a considerarla sulla Terra, anche se anche in questo caso interviene – ad esempio – l’acqua. Le cause di erosione possono essere le più varie; qui ne riportiamo alcune:



Le collisioni provocano formazione di crateri, riprocessamento degli strati superficiali e eiezione di materiale

Il calore solare produce riscaldamento, conseguenti fratture, e infine fuoriuscita di gas

I gas “trasportano” con sé particelle di polvere

Le continue collisioni di piccole particelle provocano un incessante sminuzzamento dei materiali superficiali, dando origine ad una polvere sottile che prende il nome di regolite (regolith, in inglese).

Il calore e la luce solare provocano un riprocessamento dei legami molecolari nello strato superficiale di qualunque oggetto, producendo sostanze (in genere organiche) che cambiano drasticamente le proprietà di riflettanza (albedo).

Le particelle elementari emesse dal Sole (“vento solare”, soprattutto protoni) inducono rotture di legami e tracce di fissione (fission tracks) nei materiali colpiti

A queste primarie cause di erosione si accompagnano una serie di fenomeni che rendono il mondo delle piccole masse della popolazione di corpi minori estremamente “turbolento”. Tanto per citarne alcuni:

L’effetto “razzo” nelle emissioni cometarie (jet-effect)

La pressione di radiazione solare

L’effetto Poynting-Roberston

L’effetto Yarkovsky

Inoltre, le particelle di dimensione minore di 10 cm che vagano (in numero sterminato) per il sistema solare cadono con regolarità sui pianeti. Se questi sono privi di una consistente atmosfera (come è il caso di Mercurio tra i pianeti e di tutti i satelliti, anche grandi, eccetto Titano), l’effetto finale sarà la formazione di un cratere; ricordo infatti che qualunque urto ad ipervelocità dà origine ad un cratere, le cui dimensioni variano da qualche micron (come personalmente accertato) a molte centinaia di chilometri: stiamo parlando di un fenomeno che si estende su circa 12 ordini di grandezza!

Meteore, meteoroidi e meteoriti

E’ opportuno definire con accuratezza gli oggetti di cui stiamo parlando. I “maggiori” tra i corpi minori si chiamano asteroidi e comete. Si supponeva che fossero oggetti diversi, ma è ora chiaro che non c’è tra essi una netta divisione: piuttosto si può dire che gli uni “sfumano” negli altri.

Per rendere ancora più chiaro il quadro di questo discorso, esaminiamo la figura 8.1: in essa è riportato il numero di oggetti minori del sistema solare che possono raggiungere la Terra in funzione della loro dimensione (diametro). E’ una figura già vista in un altro contesto, ma sempre illuminante. A noi interessano ora gli oggetti “piccoli”: diciamo attorno ai 10 m. Dal grafico si vede subito che le stime migliori della consistenza di queste popolazioni si aggira tra i 107 e i 108 oggetti, mentre quelli maggiori di un metro sono circa 100 volte di più: non desti quindi meraviglia se uno di essi cade sulla Terra ogni anno.

E per “vedere” cosa accade quando uno di questi bolidi attraversa l’atmosfera non resta che affidarsi al filmato amatoriale che è stato ripreso quando è caduta la meteoroide di Peekskill, il 9 ottobre 1992 (figura 8.2: cliccate due volte sulla figura per vedere l’animazione).

Si noterà, innanzitutto, che lo stesso oggetto è stato definito “meteoroide” e “bolide”. Altri nomi che vengono utilizzati in questo contesto sono: meteora, meteorite, stella cadente, fireball. E’ quindi opportuno fare un po’ di chiarezza sulla terminologia.

  • Un evento qualsiasi nell’atmosfera terrestre (o di altri pianeti) viene detto meteora (da cui meteorologia). Sono meteore i fulmini, le nuvole, le tracce luminose delle stelle cadenti.
  • Un oggetto che viene dallo spazio ed entra nell’atmosfera si dice meteoroide. Lo stesso nome viene dato anche se l’oggetto non entra di fatto nell’atmosfera e le sue dimensioni sono piccole. Attraversando l’atmosfera una meteoroide è soggetta ad ablazione a causa dell’attrito dell’aria e quindi fonde e rilascia particelle ad alta luminosità che la rendono visibile. Il termine popolare di questo fenomeno è stella cadente.
  • Se un frammento di questo oggetto giunge al suolo si chiama meteorite. Sia le meteore, che le meteoroidi, che le meteoriti sono nomi femminili.
  • Una meteoroide di dimensioni notevoli viene detta bolide e dà origine ad una “palla di fuoco”, o fireball.

Come si è detto, tutti questi oggetti provengono dalla disgregazione di asteroidi e comete. Per i primi il processo più comune che dà origine al materiale minuto sono le collisioni, con relativa eiezione di materiale. In parte questo materiale ri­cade sull’asteroide formando crateri secondari e talvolta rimanendo sulla superficie in forma di “massi” sparsi. Nella figura 8.3 è mostrata un’immagine della superficie dell’asteroide 433 Eros, ripresa dalla sonda americana NEAR. Sono evidenti parecchi crateri con i bordi piuttosto arro­tondati dall’erosione, e sono anche evidenti molti “massi” di dimensioni cospicue (qualche decina di metri).

Il fireball di Peekskill aveva probabilmente una dimensione originaria (prima dell’ingresso in atmosfera) di circa un metro. Questa è la dimensione tipica dei bolidi, ma non sono rari oggetti più grandi, fino a circa dieci metri; oggetti delle dimensioni come quello di Peekskill cadono circa ogni anno. L’orbita originaria di questo oggetto è stata calcolata con grande precisione grazie alle numerose documentazioni video: risulta avere un semiasse di 1.49 UA, una distanza perieliaca di 0.88 UA e afeliaca di 2.1 UA. Nella nostra classificazione, come vedremo meglio in seguito, si trattava quindi di un oggetto di tipo Apollo.

I meteor streams

Solo all’inizio dell’800 ci si rese conto che le meteoriti venivano dallo spazio e verso la metà dello stesso secolo gli astronomi si accorsero che in alcuni casi la loro comparsa era “coerente” sia dal punto di vista spaziale che temporale. Si cominciò quindi a far strada l’opinione che la Terra fosse regolarmente soggetta a “piogge” meteoriche, in inglese dette meteor showers. Il 13 novembre del 1833 si ebbe in Nord America un’eccezionale “pioggia” a cui assistettero molti astronomi: Olmstead e Twining fecero notare che le meteore sembravano tutte provenire da un unico punto del cielo situato nella costellazione del Leone (sono ora dette Leonidi). Similmente, sempre nel 1834, Locke mostrò che anche le meteore cosiddette Perseidi provenivano dallo stesso punto, posto vicino alla stella Algol.

Queste osservazioni furono correttamente interpretate sostenendo che la Terra attraversa periodicamente uno “sciame” di particelle, un meteor stream. L’effetto è lo stesso che si ha con gocce di pioggia sul parabrezza di un’auto in corsa: esse sembrano provenire tutte da un punto direttamente avanti all’auto; è un effetto prospettico dovuto alla composizione dei moti. Il punto di provenienza viene detto il radiante.

Una volta assunto che molte meteoroidi viaggiano in sciami, la loro connessione genetica con le comete fu inevitabile. Nel 1867 Le Verrier calcolò il “periodo” delle Leonidi in 33.25 anni, basandosi sulla ricorrenza delle fasi di maggior attività di questo sciame, e fece notare che questo era anche il periodo della cometa Tempel-Tuttle, appena scoperta. La conferma dell’associazione fu data da Schiaparelli – che collegò le Perseidi alla cometa Swift-Tuttle – e dall’osservazione della disgregazione della cometa di Biela e conseguente “pioggia” quando la Terra attraversò la scia di detriti.

Ma come si forma un meteor stream? L’ipotesi più accreditata e ormai ben confermata è che la maggioranza di questi sciami sia connesso con le comete. Quando queste entrano in attività a causa del calore solare, in genere tra l’orbita di Giove e quella di Marte, si producono fratture nella crosta superficiale, fratture da cui fuoriesce il gas originato per sublimazione del materiale volatile sottostante. Questi “getti” di gas trasportano con sé piccole particelle che vengono disperse lungo l’orbita della cometa. Si forma così un “anello” di materiale che genericamente segue l’orbita della cometa originaria e attraverso il quale la Terra si trova talvolta a passare. La posizione di una singola particella nell’anello è legata alla sua massa, perché (in assenza di forze non gravitazionali) la differenza dei parametri orbitali della cometa parente e della particella dipende dalla velocità di emissione della particella. Ci si aspetta quindi che in prossimità della cometa l’anello sia composto di “grani” più grandi, che danno origine a meteore più brillanti. Questo è esattamente quello che si verifica e che fu notato da Le Verrier.

Si è parlato poc’anzi di “forze non gravitazionali”. Si definiscono tali tutte le forze che, nello spazio, modificano i parametri orbitali di un oggetto e non sono riducibili all’influenza dei campi gravitazionali di Sole e pianeti. Vediamone alcune.

La pressione di radiazione

La luce solare incidente su una particella produce una variazione di velocità. Questo è dovuto all’apporto di momento esercitato dai singoli fotoni ed è, naturalmente, un effetto molto piccolo su oggetti di una certa massa. Se però la particella ha dimensioni molto ridotte, dell’ordine del centimetro o meno, l’effetto diviene sensibile. La pressione di radiazione agisce in maniera opposta alla gravità e – per oggetti sferici – in dipendenza dall’inverso del quadrato della distanza: è in sostanza una sorta di “antigravità”, il cui effetto netto è equivalente ad una diminuzione di massa del Sole. Gli oggetti più piccoli, quindi, si trovano ad orbitare attorno ad un “Sole” meno massiccio.

L’effetto Poynting-Robertson

La luce solare è responsabile anche di un altro tipo di variazione del moto di piccole particelle. Infatti, un oggetto in moto attorno al Sole riceve un piccolo eccesso di luce sulla faccia disposta nel senso di marcia, per lo stesso motivo per cui il finestrino anteriore di un’auto in moto riceve più gocce di pioggia di quello posteriore. Questo eccesso provoca un “frenamento” nel senso del moto che si traduce in una diminuzione del semiasse orbitale. La particella quindi “spiraleggia” verso il Sole su cui prima o poi si troverà a cadere.

In realtà la questione è più complicata, perché l’effetto Poynting-Robertson si oppone alla pressione di radiazione: la storia dinamica di una particella, quindi, dipende strettamente dalla sua massa.

L’effetto Yarkovsy

Un ulteriore effetto dovuto, in maniera indiretta, alla luce solare è quello scoperto circa un secolo fa dall’astronomo russo I.O. Yarkovsy. I corpi minori, come i pianeti, sono in rotazione attorno ad un determinato asse. La rotazione può essere prograda o retrograda, l’orientazione dell’asse può essere qualunque e la sua direzione può non essere costante. Ad ogni modo, quel che accade è che durante una rotazione la luce solare riscalda l’”emisfero” illuminato: quindi la zona che si trova di “pomeriggio” ha ricevuto più energia (ed è quindi più calda) della zona “mattina”. Poiché il calore assorbito viene in parte riemesso sotto forma di radiazione infrarossa, la regione pomeridiana emetterà di più di quella mattutina, con un piccolo effetto netto sul momento della particella (vedi figura 8.4).

Qui l’affare si complica, perché tutto dipende dallo stato rotazionale della particella. Se questa ruota in senso antiorario rispetto alla direzione del Sole (come mostrato in figura) la zona pomeriggio si troverà nella parte posteriore-interna della particella (rispetto al verso del moto) e la spinta sarà verso la parte anteriore-esterna: il risultato netto sarà quindi un’accelerazione e quindi una diminuzione di semiasse (moto verso il Sole). In caso di rotazione retrograda (oraria) si avrà il risultato opposto come nel caso dell’effetto Poynting-Robertson; in caso di rotazione caotica anche la spinta sarà diretta in maniera caotica.

Nel caso degli asteroidi più piccoli è stato dimostrato che l’effetto Yarkovsy può avere un’influenza tutt’altro che trascurabile sull’evoluzione dinamica, permettendo spostamenti cospicui che possono portare l’asteroide dentro le risonanze. Nella figura 8.5 è riportata una simulazione di asteroidi della famiglia di Koronis a causa dell’effetto Yarkovsy (Bottke ed altri, 2002). Le tracce delle 210 particelle integrate sono riportate in nero in varie fasi della simulazione che copre 700 milioni di anni. La famiglia Koronis è delimitata a sinistra dalla 5:2 e a destra dalla 7:3, ma al suo interno si trova una combinazione di risonanze secolari che ha l’effetto di aumentare l’eccentricità orbitale. Come si vede dalla figura l’effetto Yarkovsy può provocare spostamenti sufficienti a far cadere gli asteroidi nella risonanza secolare, dove l’eccentricità aumenta. Alcuni di essi sono poi da qui spostati nella 7:3 ed eliminati rapidamente.

Tutti questi effetti, includendo tra essi anche il classico “effetto-razzo” delle comete e loro frammenti, dovuto alla fuoriuscita di gas, rendono la dinamica della componente minore molto caotica. Ne deriva che un meteor stream non può sopravvivere a lungo. Ad essi poi si sommano anche le perturbazioni gravitazionali vere e proprie, incluso l’effetto degli incontri ravvicinati con i pianeti. Il risultato finale nel tempo è la dispersione degli stream. Poiché essi sono osservati, vi sono solo due possibili spiegazioni: 1) gli stream sono recenti e 2) gli stream vengono rigenerati. La prima è molto improbabile, perché alcune delle comete a cui sono dovuti gli stream sono decisamente “vecchie”. E’ invece più ragionevole pensare che ad ogni rivoluzione la cometa parente emetta nuovo materiale che viene a riempire in continuazione lo stream.

Ad ogni modo la dispersione è senz’altro un fenomeno reale, che produce una gran quantità di materiale senza una relazione dinamica evidente con nessuna cometa: è un fenomeno simile alla dispersione dei membri di una famiglia di asteroidi. Il risultato, mediato sulla vita del sistema solare, è la creazione di un cospicuo “fondo meteoritico”, detto fondo delle meteoroidi sporadiche, un insieme di particelle distribuito casualmente nello spazio dei parametri orbitali come se fosse stato “termalizzato”.

Meteor streams asteroidali

Una questione che viene dibattuta da sempre è l’origine delle meteoroidi: sono tutte frammenti di comete o di asteroidi? Poiché la maggioranza delle meteoriti raccolte è di natura rocciosa, la risposta sembra chiara: le meteoriti sono frammenti di asteroidi. I frammenti di cometa sarebbero troppo incoerenti e composti di materiali volatili per giungere fino alla superficie della Terra. Ciò non toglie, naturalmente, che nelle comete possano esserci “particelle” (anche grandi) di roccia e che queste siano le progenitrici di alcune meteoriti.

Un’altra questione, simmetrica della precedente, è: i meteor streams sono tutti di origine cometaria? Fino a non molti anni fa la risposta sembrava ovvia: certamente, perché solo le comete subiscono la disgregazione dovuta al calore solare. Recentemente però il problema si è fatto acuto per la scoperta del “corpo genitore” delle Geminidi, uno stream visibile attorno al 13 dicembre. Infatti, il parent body delle Geminidi può difficilmente essere considerato una cometa: si tratta dell’asteroide (perché così classificato) 3200 Phaeton, di semiasse 1.27 UA e eccentricità 0.89. Questo vuol dire che l’asteroide ha perielio a 0.14 UA, ben dentro l’orbita di Mercurio, e afelio a 2.4 UA, dentro la fascia asteroidale. Certo, 3200 Phaeton potrebbe essere una ex cometa, ma non possediamo ancora nessuna indicazione chiara di come possa essere finito nel posto dove si trova. Eppure non vi sono dubbi che le Geminidi siano associate con l’asteroide.

In molti altri casi si hanno indicazioni di associazioni tra meteor streams (in genere minori) e asteroidi, per cui siamo ora portati a pensare che il fenomeno sia tutt’altro che unico. In realtà, basterebbe un impatto di una certa potenza per estrarre dalla superficie di un asteroide materiale in quantità sufficiente a formare una sorta di anello lungo la sua orbita, e la presenza di asteroidi multipli non fa che avvalorare questa tesi.

In conclusione, possiamo ormai affermare con una certa sicurezza che sia gli asteroidi che le comete possono rifornire lo spazio circumterrestre di materiale fine in quantità (e qualità) sufficiente a dare una spiegazione esauriente sia della presenza di meteor streams sia del fondo sporadico. Cominciamo anche ad avere una visione abbastanza chiara dei meccanismi fisici e dinamici che presiedono al trasporto di materiale minuto sulla Terra; un'altra serie di link della figura 4.1 (che riportava le interrelazioni tra corpi minori) è così spiegato. Non resta che un ultimo anello della catena: quello che porta agli impatti di una certa potenza sulla superficie terrestre. Questo sarà l’argomento dei capitoli finali.



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